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Comune unico, sulla Canaletto insieme tra opportunità e tanti dubbi

da | Mar 28, 2015 | In Primo Piano, Medolla, Cavezzo, San Prospero, Editoriale | 0 commenti

  • di Antonio Turco (*)

Il progetto delle aggregazioni dei comuni è ormai maturo e non può essere affrontato al di fuori di un vero percorso di riassetto istituzionale generale iniziato con la riforma delle Province. Il tema, a mio avviso, non è solo fondere i comuni per spendere meno. Ma al limite fondere i comuni perchè siano realmente capaci di amministrare il territorio e promuovere sviluppo sia economico che sociale. A che servono dei comuni che riducono le spese, le consulenze, i progetti, il personale ma poi sono residuali e inefficaci nel creare occasioni di sviluppo e di crescita soprattutto per i giovani, le famiglie e le imprese? Si può spendere poco ma spendere molto male semplicemente perchè non si raggiungono risultati importanti per il territorio che si vorrebbe amministrare.

L'area del comune "fuso" all'interno della mappa provinciale

L’area del comune “fuso” all’interno della mappa provinciale

Certamente è fondamentale non sprecare, ma ancora più importante è avere idee, progetti, metterli in campo, attivare su di essi tutte le risorse disponibili su un territorio, per giunta come il nostro che si avvia tenacemente alla ricostruzione, e in questo modo dare un supporto decisivo alla capacità di competere in questo mondo sempre più complesso e difficile in cui persone e aziende devono comunque cimentarsi. Allora è importante capire se la fusione dei nostri tre comuni consente di contare di più, raggiungere risultati migliori, sviluppare progetti più innovativi, essere più autonomi e capaci di determinare il futuro della nostra comunità.

Per farmi capire meglio, il comune di Mirandola, che ha un territorio e una popolazione abbastanza paragonabile a quella dei comuni di Cavezzo, Medolla e San Prospero messi insieme, non pare abbia servizi più efficienti dei nostri, sono per quantità in linea con i nostri e non costano meno. Anche le spese generali non si discostano significativamente da quelle dei nostri servizi. Unica differenza dal punto di vista dei costi: hanno un solo consiglio comunale e un solo sindaco invece di tre consigli e tre sindaci. Ma i comuni governano risorse (dirette e indirette) che superano tranquillamente le decine di milioni di euro. Producono direttamente e indirettamente decine di posti di lavoro. Possono fare risparmiare o guadagnare ad un impresa del territorio migliaia di euro con una sola decisione.

Spero quindi che non si stia parlando solo di questo; le storie dei costi della politica (almeno a livello locale) e degli sprechi per consulenze, progetti, servizi lasciamole per ora ad altri come specchietto per le allodole o come propaganda politica.

Se invece ragioniamo concretamente, Mirandola conta davvero molto di più dei nostri tre comuni che intendono avviare le procedure di fusione, quando si parla di ricostruzione post terremoto, di ospedale e sanità, di infrastrutture, di trasporto pubblico e investimenti, di scuola e formazione. Mirandola, con il biomedicale e la meccanica, ma non solo, sta superando con minori difficoltà le diverse crisi economiche e finanziarie degli ultimi anni, terremoto compreso. Mirandola pianifica e governa il territorio in modo omogeneo e uniforme. Quando il sindaco di Mirandola si confronta con le altre istituzioni o con la sua realtà economica ha un peso specifico molto superiore ai tre comuni. Mirandola ha uffici che per dimensioni e pluralità di competenze possono sviluppare progetti ambiziosi e innovativi. Mirandola può pagare i propri dirigenti di più e spendere paradossalmente di più per questo tipo di personale, ma può anche portare via ai comuni più piccoli i collaboratori migliori.

Ma comunque tutto questo non sarebbe ancora sufficiente se non si considerasse un progetto di fusione all’interno di una riforma più ampia. Uso sempre l’esempio di Mirandola: a un comune di queste dimensioni e organizzazione possono essere trasferite una parte delle competenze gestionali che oggi sono in capo alla Provincia, seppur in via residuale, con la tranquillità che saprà gestirle da una posizione più vicina al cittadino e con un controllo da parte di quest’ultimo assai più efficace e puntuale.

Più in generale: la Germania ha fuso i comuni nell’immediato dopoguerra, la Francia ha scelto la via delle Unioni di Comuni. La Francia ha la miglior amministrazione pubblica del mondo, la Germania ce l’ha di ottimo livello ma tornasse indietro non seguirebbe la strada della fusione, ma quella delle unioni, come è stato d’altra parte documentato da alcuni studi della comunità europea al riguardo. La Spagna ha scelto una via intermedia: le province trasferiscono le loro competenze ai comuni tutte le volte che i comuni si associano in unione e raggiungono una soglia minima. Tutti, proprio tutti, hanno scelto di accompagnare i processi di aggregazione con autonomia finanziaria (perchè senza risorse economiche si può fare forse della poesia ma non sviluppo di un territorio), ma soprattutto con competenze e poteri aggiuntivi (e questo non costerebbe niente anzi sarebbe il vero risparmio).

Dopo le Province, cominciamo a smantellare buona parte delle ciclopiche strutture regionali che invece di pianificare e legiferare in realtà gestiscono servizi e inducono vincoli e costi rilevanti su questi ultimi (altrochè battaglie formali sul vitalizio dei consiglieri regionali). Alle stesse Province lasciamo solo quelle funzioni degli organismi statali decentrati (Prefetture, Questure, servizi idrografici, consorzi, agenzie varie) e poi eliminiamole tutte in modo definitivo.

A parità di spesa trasferiamo risorse e personale e faremo così una “rivoluzione” in questo paese liberando tante di quelle possibilità che nemmeno ce l’aspettiamo.

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Gli attuali stemmi comunali

Il tutto per una semplice ragione: che quando ci si avvicina molto ai cittadini e si deve rispondere a loro direttamente e quotidianamente l’amministrazione ha “performance” tante volte superiori a quelle degli stessi privati, come del resto testimoniato dal fatto che gli stessi cittadini tra un servizio pubblico comunale (asilo, casa protetta…) e uno privato, o non fanno differenza o prediligono quello pubblico.

D’altra parte da una cultura che pensa che la riforma dell’amministrazione pubblica siano le auto blu che i comuni come i nostri non hanno mai avuto, o il taglio del 10% dei gettoni dei consiglieri comunali, avremo un’amministrazione pubblica che costerà un pò meno ma che o funzionerà poco o, peggio, non servirà a quasi niente e quindi si avrà ragione a smantellarla un pezzettino alla volta.

In ultima analisi, l’avvio del progetto di fusione dei comuni di Cavezzo, Medolla e San Prospero sulla carta è positivo, ma il tema centrale, lo possiamo rimandare fin che si vuole, sarà sempre quello: per fare cosa? con quali risorse? E per quali risultati? Quindi va bene che si inizi a palarne con i cittadini, che si inizi questo percorso anche con coraggio e tenacia politica.

E’ oggi il tempo di riforme, ambiziose, controcorrente e profonde non di lifting superficiali. Altrimenti anche di un comune più grande ce ne faremo ben poco se non sarà lo strumento per portare nuovi poteri il più vicino possibile ai cittadini, per valorizzare i migliori, per sviluppare progetti lungimiranti, per recuperare risorse straordinarie, per promuovere territorio e persone nel migliore dei modi.
Banalmente per amministrare il “Bene Comune” e farsi valutare senza alibi dai cittadini.

Ma questo, mi viene il dubbio, un pò spaventa tutti. Senza distinzione politica.

(*) Antonio Turco, residente a Cavezzo, Revisore Legale dei Conti e giornalista pubblicista, lavora a Bologna dove è Tesoriere del Consorzio Cooperativo Finanziario per lo Sviluppo s. c. (Lega Nazionale delle Cooperative e Mutue)

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