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Regioni: ma quanto ci costano

da | Giu 10, 2015 | Editoriale | 0 commenti

Quanto ci costano le Regioni

Le Regioni italiane costano ogni anno ai loro contribuenti oltre 150 miliardi di euro; circa il 7% del PIL; 3.124 euro per abitante, neonati inclusi.

Una cifra che non accenna a scendere, anche in tempi di spending review. Un dato in linea con quanto stiamo assistendo da diversi anni in tema di sprechi. Un dato preoccupante che dovrebbe farci riflettere su “quanto ormai la straripante ‘presa di potere’ della politica italiana, stia inesorabilmente portandoci verso un declino ormai inesorabile”, direbbe qualcuno.

Un fenomeno in crescita

Una presa di potere che vede gli schieramenti politici in eterna campagna elettorale, impegnati più a contare le percentuali di voti ottenuti nelle varie “turnate” elettorali, che a produrre leggi e decreti utili alla crescita del Paese, impegnati più a definire strategie di opposizione e/o di alleanze a seconda degli interessi locali, che a perseguire un piano di freno all’impoverimento del Paese.

Un inutile e devastante fenomeno circense (senza offendere per carità i seri professionisti che lavorano nei diversi circhi che girano per il Paese) che ha un obiettivo, forse non così chiaro agli attori in gioco, ma evidente nei numeri che determina: l’obiettivo di non perdere posizioni.

Che cosa significa ?

Risparmiare si può

Non occorre un economista esperto per comprendere che una sana ed efficace riduzione dei costi della politica è possibile. L’accorpamento di alcune Regioni (non me ne vogliano gli amici del Molise) così come una “ridefinizione” degli accordi tra Stato e Regioni a statuto speciale (non me ne vogliano gli amici del Trentino), ad esempio, porterebbe a risultati in termini economici e organizzativi sicuramente interessanti. La definizione di standard gestionali, tra le varie regioni, porterebbe ad un maggiore equilibrio del costo procapite, che presenta differenze alquanto imbarazzanti.

Risparmiare è veramente possibile?

Ma se la questione è così semplice, perché non è stata fatta ?

Probabilmente, direbbe sempre qualcuno, perché più “la cosa pubblica” è frazionata, più è possibile la spartizione del potere da parte delle forze politiche in campo, con la possibilità di creare quegli italici giochi di opposizioni e finte alleanze, che vedono schieramenti politici con meno del 4% della rappresentanza elettorale, tenere sotto scacco i partiti di maggioranza.

Insomma è una questione antica come il mondo, di spartizione del potere, e quindi di controllo di risorse.

La spesa pro capite

La più piccola fra le Regioni ordinarie italiane, il Molise, si trova in vetta alla graduatoria del «costo» pro capite con 4.622 euro a cittadino (superiore anche alla Sicilia, Regione a statuto speciale, con un costo pro capite attorno ai 4.400 euro), mentre la più grande, cioè la Lombardia, è ultima con un costo stimato a quota 2.329 euro pro capite.

La regola delle dimensioni, che vede il costo pro capite scendere all’aumentare degli abitanti, non è del tutto vera: il Lazio (che conta 5,8 milioni di abitanti) con 3.796 euro a testa si colloca poco più in alto delle più piccole Umbria e Liguria, oltre a superare in modo significativo Veneto, Toscana, Piemonte, Emilia Romagna e Campania.

Se nel computo inseriamo anche le Regioni a Statuto speciale, il costo pro capite è destinato a salire in maniera pesante: circa 10mila euro di spesa pro capite raggiunti da Valle d’Aosta e Provincia di Bolzano, e i circa 8.000 registrati a Trento.

Le Regioni a Statuto speciale

Vero è che le competenze per queste Regioni è maggiore rispetto a quelle ordinarie. Vero è che le Regioni a Statuto speciale “restituiscono” allo Stato circa il 10% del gettito fiscale. Stiamo parlando di territori diventati ampiamente più ricchi della media nazionale.

Un dato, importante, però, che serve a comprendere questo “divario”, è rappresentato dal “modello” di welfare applicato da queste regioni, molto più simile a quello dei Paesi loro confinanti, che non a quello italiano, dove la Regione interviene in modo significativo, sia per quanto riguarda asili, scuole, sanità e sistema di sostegno alla popolazione anziana. Va considerato che, a livello nazionale, otto euro su dieci delle entrate pubbliche sono assorbiti dalla spesa corrente, e sei di questi otto euro servono alla sanità.

Andrea Lodi (redazione.economia@sulpanaro.net)

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