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Una sera al cinema: Il fenomeno dei cinepanettoni

da | Gen 8, 2016 | Cinema, Recensioni | 0 commenti

Italico mistero che ogni anno si ripresenta, i cinepanettoni (e i neonati cinecocomeri) affollano le sale italiane ogni anno. Buona lettura!

La locandina di uno dei primi "Vacanze di Natale"

La locandina di uno dei primi “Vacanze di Natale”

La storia antica (si fa per dire)
I cinepanettoni hanno un intento chiaro e dichiarato: portare le persone al cinema. L’italiano medio, secondo recenti statistiche, va al cinema 2 volte all’anno per cui la cassa piange.
Verso la fine degli anni ’80/inizi anni ’90 ad alcuni registi (i fratelli Vanzina e Neri Parenti) venne la brillante idea di portare la comicità da bar di paese in posti lussuosi e raffinati, come Cortina, Saint-Moritz e così via.
In questo modo burini di dubbio gusto, affabulatori da piazze e “pidocchi arricchiti” (leggi nuovi ricchi, ndr) hanno trovato il loro sfogo, frequentando posti molto eleganti e costosi ma rimanendo con le pezze alla parte posteriore del loro corpo.
Il mix letale era: canzoni da discoteca appena uscite, posti eleganti inquadrati stile “cartolina”, personaggi della comicità italiana che riproponevano caratteristiche e macchiette del nostro variegato Paese, facendo leva su dialetti, citazioni di attori del passato come Totò e così via.

Un inizio col “botto”
I primi Vacanze di Natale potevano essere curiosi, interessanti, magari anche divertenti: posti inusuali che molte persone non avevano mai visto (all’epoca i voli low cost non c’erano), situazioni intriganti e bravi caratteristi reggevano 90 minuti di situazioni divertenti, magari volgarotte ma con quel cuore e lo spirito genuino degli anni ’80, stile volemose bene.
Negli anni, forte degli incassi dei primi film, la situazione è sfuggita di mano e sono trascesi: record di oscenità al minuto, comicità sempre più triviale e scadente per arrivare fino a Natale in Sudafrica, ultimo cinepanettone visto più per compiacere un amico che per reale interesse.

Giustamente qualcuno di voi potrebbe obiettare: E tu non ci andare!
Ringraziandolo per lo spunto ne approfitto per spiegare che, mentre sei a tavola e mangi tranquillo il tuo piatto di rigatoni al sugo fumanti, è un attimo vedere una rassegna di trailer. E nella rassegna, puntuale come Equitalia a Natale, ti arriva il trailer del cinepanettone che ti strozza il rigatone in gola. con goliardate da terza media e gag talmente ricopiate che perdono colore ad ogni passaggio in tv, trasformando un trailer a colori in una pallida copia in bianco e nero.

Er portafoglio
Il cinema italiano ha già cercato in passato facili espedienti per fare cassa puntando al maggior risparmio possibile: pensiamo ai film a episodi, dove bravi attori venivano spinti in situazioni magari slegate tra loro o con una vaga connessione di fondo, giusto per motivare il costo del biglietto. I film di Franco Franchi e Ciccio Ingrassia sono stati l’emblema del risparmio estremo: storie scritte in mezza giornata, produzione a macchinetta di pellicole che, onestamente, forse non dovevano nemmeno vedere la luce.
La colpa non è degli attori (un bravo attore con un copione da cani può impegnarsi finché vuole ma ha poche speranze) ma di una logica puntata sempre alla Viva il parroco!, dove qualunque cosa prodotta (fosse la scivolata su una buccia di banana, per dirne una) andava bene e quindi si andava a catena di montaggio, senza preoccuparsi di offrire quel qualcosa in più agli spettatori ignari (in questa categoria imperdibili anche i musicarelli, storie banalotte sorrette da bravi cantanti).

Concludendo
Io amo il cinema ed è un peccato vedere certe pellicole in sala, è come se qualcuno pugnalasse questa nobile arte alle sue spalle, percepisci visioni mistiche dove immagini il futuro per i figli che hai appena messo al mondo. Credo che oramai, dopo anni di film fatti la domenica pomeriggio sotto al sole di Rimini ad agosto, sia giunto il momento di dire basta. È stato un filone fortunato e ai suoi partecipanti ha permesso di condurre una bella vita, dignitosa e lussuosa.
Ma la grande verità di questa vita (Dr. House docet) è che tutto cambia. Cambiano i gusti, le persone, gli umori, perfino gli improperi che le persone annunciano ad alta voce all’uscita della sala, pensando che con gli stessi quattrini potevano vedere un film degno di questo nome, qualcosa che non sia un “fast food” cinematografico ma un bel piatto di pasta cucinato con ingredienti genuini.
L’aerofagia, le percussioni ritmiche sull’area testicolare degli attori maschi, i travestimenti da donna, l’ossessione per il portafoglio (E io pago! E io pago! E io….), i dialetti regionali conditi da luoghi comuni stantii piacciono ancora a molte persone, purtroppo, ed il mondo è bello perché è vario. Però se chi di dovere non produce film interessanti e si limita a mettere il pilota automatico, trasformando questi film in enormi marchette pubblicitarie con un product placement semplicemente osceno, non prendetevela con il pubblico perché loro vi hanno dato fiducia, tempo e contanti per vedervi.
Tocca a voi stupirci.

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