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Italiani e banche: un rapporto difficile

da | Feb 15, 2017 | Rubriche, Glocal, Economia | 0 commenti

GLOCAL

di Andrea Lodi

La sfiducia degli italiani verso le istituzioni viene da molto lontano. Qualcuno avrebbe anche avuto l’ardire di scomodare gli antichi romani.
Sono quelli del partito del “siamo fatti così”, quelli che non hanno alcun interesse a vivere in un paese efficiente e performante, perché altrimenti “dovrebbero cominciare a dimostrare di avere delle competenze”, direbbe qualcuno.
Polemiche a parte, un italiano su tre, per essere ottimisti, non ha più fiducia nelle Istituzioni, siano esse politiche, economiche o finanziarie. E’ tutta colpa della politica, ovviamente. E’ colpa di quella tendenza a “puntare verso il basso” della quale la politica ha fatto il proprio baluardo, l’essenza della propria sopravvivenza.
Ne sono un esempio le banche. Unicredit e Intesa San Paolo, amministrate da dirigenti competenti, sono state in grado di affrontare la crisi attuando politiche strategiche in grado di riportarle già nel 2017, secondo le previsioni, a performance di assoluto rispetto.
Unicredit nel 2016 ha affrontato il “grosso” delle pesanti eredità del passato, assorbendo di fatto da sola quasi la metà delle rettifiche ed una percentuale ben più significativa delle perdite dell’intero sistema bancario. I traguardi contenuti nel piano industriale prevedono un ritorno all’utile e al dividendo sull’esercizio 2017 grazie soprattutto alla riduzione del costo del rischio.
La stessa cosa non si può dire delle cosiddette “bad four”: MPS, Popolare di Vicenza, Veneto Banca e Banca Etruria. Le quattro banche che hanno creato un consistente dissesto finanziario nel sistema bancario italiano. Nuova Banca Etruria si salverà grazie all’acquisizione da parte di Ubi Banca, che ha intenzione di portarsi a casa le competenze di Banca Etruria, riconosciute a livello internazionale, nella contrattazione dell’oro. Mentre le prime tre hanno visto, nel lungo periodo della loro drammatica crisi, una fuga di clientela per un controvalore di 65 miliardi di euro, venti dei quali confluiti negli ultimi tre anni in Intesa San Paolo.
La fuga della clientela, in gergo tecnico “banking run”, è un indicatore empirico dello stato di salute di una banca. Se il cliente non è contento, se ne va.
Sarà una pura coincidenza ma le “bad bank” italiane, guarda a caso, sono quelle che hanno visto una forte ingerenza dei politici nella loro gestione. In MPS, che rappresenta il caso più eclatante, il volume delle sofferenze e dei crediti malati è andato crescendo senza sosta fino ad oltre il trenta per cento del portafoglio. Un valore che le ha assegnato il triste primato di banca più rischiosa del Paese. L’unica cosa che sono stati “capaci” di fare, questi manager incompetenti, è stata di occultare per qualche anno le sofferenze, (in)consapevoli che prima o poi dovevano essere gestite.
“La politica, non soltanto locale, ha deciso le sorti della Fondazione e della Banca in riunioni che avvenivano fuori dalle istituzioni. Io stesso sono stato oggetto continuo di pressioni da parte del partito cui appartenevo, perché facessi certe operazioni e non altre. È uno dei motivi per cui ne sono stato espulso nel 2004. La mia visione dello sviluppo del Monte dei Paschi era diametralmente opposta a quella che girava non solo nel mio partito, ma anche negli organi di controllo”. Lo ha dichiarato Pierluigi Piccini, sindaco di Siena dal 1990 al 2001, eletto con l’allora Pds.
Ma qual è il problema? Per il partito del “siamo fatti così” non c’è alcun problema. Qualcuno ci penserà a sistemare le cose. E’ sufficiente occultare le prove, scaricare le colpe, dichiarare che c’è un complotto ed assoldare un team di buoni avvocati, che con le lungaggini della giustizia italiana, il presunto reato andrà senz’altro in prescrizione. Se si ha poi la fortuna che il Presidente del Consiglio appartiene al tuo stesso partito politico, allora non c’è da dubitare che un qualche decreto “salva banche” verrà senz’altro tirato fuori.
La situazione non è delle più allegre. Le piccole banche, che un tempo erano considerate l’orgoglio del nostro sistema finanziario, sono quelle più a rischio. Il problema maggiore non è tanto nello status-quo, che ha visto l’intero sistema bancario dover gestire forti sofferenze, ma nella capacità di guardare al futuro, nella capacità di approntare piani industriali, come nel caso di Intesa San Paolo e Unicredit, in grado di dare fiducia al mercato. Perché con una situazione di “fuga strutturale dei clienti” non c’è piano industriale che tenga.

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