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Alitalia si, Alitalia no: il populismo affossa la Compagnia

da | Apr 26, 2017 | Glocal, Economia | 0 commenti

di Andrea Lodi

Quanto è accaduto in questi giorni in Alitalia Spa, ex compagnia aerea di bandiera italiana, è una grande prova di “democrazia imprenditoriale”: fare decidere agli 11602 dipendenti “aventi diritto”, sul futuro della Compagnia, è stata da un lato espressione di “organizzazione partecipativa” (che assomiglia molto ai modelli organizzativi cosiddetti “circolari”, tanto di moda oggi), dall’altro una grande furbata degli attuali soci di Alitalia Spa.

Soci che da sempre hanno avuto le idee chiare su chi sarebbe pesato il tentativo di salvataggio della ex compagnia aerea di bandiera.

I dipendenti di Alitalia Spa sono stati chiamati ad esprimere il loro parere sull’intesa tra Governo italiano e sindacati dei lavoratori, in merito al piano industriale per il salvataggio della Compagnia.

Ha vinto il fronte dei NO, ovvero di coloro che hanno bocciato un piano industriale che prevedeva secondo loro, troppi sacrifici da parte dei lavoratori.

Una scelta che, a conti fatti, peserà sui contribuenti italiani oltre un miliardo di euro, per la messa in liquidazione della Compagnia. Il Governo dovrà avviare la procedura di amministrazione straordinaria, con un futuro alquanto incerto sulla sopravvivenza di Alitalia.

Una Compagnia, che da mesi perde più di un milione di euro al giorno, senza operazioni chirurgiche fortemente intrusive, non può risollevarsi. I soci, attenti manager d’azienda, lo sanno molto bene. Affidando la scelta della via da intraprendere al “populismo” imperante di questo millennio, ha di fatto consentito loro di risparmiare parecchi soldi.

Con l’esito di questo voto gli azionisti della compagnia, infatti, faranno un passo indietro lasciando di fatto in mano all’attuale Governo la responsabilità per il futuro della Compagnia. Con la vittoria del SI i soci avrebbero garantito un impegno finanziario da due miliardi di euro. Un intervento consistente, che però adesso Etihad, il socio di peso di Abu Dhabi (che possiede il 49% delle azioni), e le banche azioniste e creditrici Intesa Sanpaolo e Unicredit (che posseggono rispettivamente il 20,59% ed il 12,99% delle azioni) non vorranno più sostenere.

Quanto è accaduto in questi giorni ricorda i risultati di due referendum che, per motivi di “protesta”, hanno avuto esiti fortemente contrari alle aspettative dei loro promotori, con conseguenze gravi, almeno in un caso, per il futuro del Paese. La Brexit, infatti, voluta dalla parte “populista” del Regno Unito, quella che molto probabilmente, a detta di alcuni attenti osservatori, non aveva le idee chiare su ciò che andava a votare, è il risultato di una “democrazia partecipativa” che ha evidenziato il lato debole della sua potenzialità: delegare le scelte, su questioni complesse, ad un popolo che non ha gli strumenti e le competenze per farlo.

Ed è questo che è avvenuto in questi giorni in Alitalia. Una Compagnia con una storia tortuosa, fatta di scelte sbagliate, iniziate con la mancata vendita ad Air France di nove anni fa (era esattamente il 24 aprile del 2008), e proseguita con la scelta “populista” della maggioranza dei lavoratori, nel rifiutare il piano industriale nato dalla concertazione tra soci di Alitalia e sindacati.

Una ulteriore prova che qualcosa, in questo Paese, non funziona come si deve.

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