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Primarie, il plebiscito del “vecchio” Renzi – L’analisi di Nicolò Guicciardi

da | Mag 1, 2017 | Rubriche | 0 commenti

di Nicolò Guicciardi

Dopo la giornata del 30 aprile appare chiaro che il Partito Democratico sposta il suo baricentro verso una futura competizione elettorale, che con altissime probabilità sarà concentrata su una personalizzazione della politica al suo apogeo in questi ultimi anni. Sembra infatti un lontano ricordo il concetto della “ditta” di bersaniana memoria, quantomeno ai vertici dei dem.

Vi parla uno che ieri ha avuto modo di calcare il seggio sanfeliciano delle primarie, dove il “democristiano” Renzi ha ricevuto un’investitura se possibile anche più consistente che in altri territori visto il retroterra cattolico di un paese che è stato l’unico in grado di eleggere due sindaci “bianchi” sul pianeta, quello della Bassa, ben più “rosso” di Marte, di annusare l’aria che si respirava e di ascoltare qualche frase interessante e opinione di elettori che masticano le vicende politiche nostrane. Proviamo a metterne in fila qualcuna.

Primo. Se si ragiona sulla serie di dichiarazioni riferite al flop in termini di affluenza, giunte dagli scissionisti ed evocate in qualche maniera anche dai candidati delle mozioni uscite sconfitte in riferimento alla scarsa pubblicizzazione di queste consultazioni, il dato di partecipazione vicina ai due milioni di votanti segna da questo punto di vista una non trascurabile boccata di ossigeno mediatica in termini di favore da parte dell’opinione pubblica verso i democratici, che in tal modo possono riguadagnare terreno su un Movimento le cui stelle non hanno mai brillato, e lo dirò consapevole di attirarmi qualche critica da parte dei lettori simpatizzanti dei pentastellati, per quanto concerne il livello di democrazia interna e coinvolgimento popolare.
Il PD continua, nonostante la fatica e il logorio dovuto alla sua presenza al timone di Palazzo Chigi, a mantenere nonostante tutto una discreta base che quando viene chiamata in causa risponde in termini che quantitativamente non possono essere bollati come un flop, e ciò risulta un contraccolpo non di poco conto per coloro che hanno scelto la via della scissione, sperando di poter drenare voti dalla casa madre.

Secondo aspetto impopolare, e su cui so per certo che i mal di pancia giungeranno dai dirigenti ed elettori del Partito Democratico, va a focalizzarsi sull’età media avanzata dei votanti. Sia chiaro, io non ho nulla contro gli anziani, comprendo il loro ruolo nell’aver plasmato il nostro paese e nell’essere in molti casi degli straordinari ammortizzatori sociali a supporto dei più giovani, nè tantomeno mi riconosco completamente nel concetto di rottamazione dal punto di vista generazionale, ma una domanda sorge spontanea. Come può un PD a trazione renziana, guidato da un politico ancora tutto sommato giovane e che ha come appeal quello di riuscire a parlare di futuro e di innovazione, essere sorretto da un esercito di over 60? Di conseguenza viene da chiedersi se riuscirà Renzi a mandare in porto politiche per i giovani e per coloro che rappresentano il futuro dell’Italia con una base elettorale così formata.

Questa è la sfida aperta, e che con tutta probabilità segnerà i prossimi anni di segreteria gigliata, la quale comincia già in salita visto che la prima matassa che si troverà a sbrogliare è quella relativa alla legge elettorale, dopo lo smantellamento costituzionale di un Italicum cucito ad hoc alla riforma costituzionale poi bocciata nelle urne lo scorso 4 dicembre.

 

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