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Immigrazione: chi è causa del suo mal, pianga se stesso – L’intervento di Nicolò Guicciardi

da | Lug 21, 2017 | Rubriche | 0 commenti

di Nicolò Guicciardi, laureato in Scienze Politiche

Siamo nel ’17, su questo non ci piove. Dalle notizie che vanno per la maggiore sui telegiornali non si riesce però a capire se quelle due cifre appena messe nero su bianco siano riferite agli anni Duemila o al Novecento.

Anche ieri in pausa pranzo, è bastato sintonizzarsi su un notiziario dei canali tv principali per sentire le ennesime schermaglie che si stanno consumando tra i governi di Austria e Italia, col primo che in piena campagna elettorale minaccia a giorni alterni di chiudere il Passo del Brennero, qualora anche solo osassimo farli invadere dai migranti che attualmente sostano sul suolo italiano. 

A parte le facili ironie riferite alla Prima Guerra Mondiale che si potrebbero fare, dove il faccia a faccia sul fronte occidentale italo-austriaco costarono all’Impero austro-ungarico i territori del Trentino Alto Adige e parte del Friuli passati sotto dominio italiano, l’intento è quello di analizzare nel complesso una situazione delicata per il nostro paese, come l’immigrazione costante dai paesi africani, che attualmente si sta manifestando.

Piccola puntualizzazione iniziale. Io non sono un alto diplomatico e nemmeno il capo di un governo. Perciò ai lettori dirò di non aspettarsi proposte e soluzioni, che facili non sarebbero di certo, su un tema del genere. Sono semplicemente il conduttore di un programma radiofonico, perciò il massimo che potrò fare sarà mettere in fila alcuni fatti e riflessioni, per darvi un’opinione sulle modalità con cui l’Italia sta affrontando il problema.            

Innanzitutto, fa sempre piacere constatare che a fare chiarezza sia, nonostante la marginalità in termini di consensi, un’esponente storica dei Radicali. Emma Bonino, e poche settimane dopo anche il presidente del Parlamento Europeo Antonio Tajani, ha infatti messo in luce il fatto che sia stata l’Italia, in sede europea, ad accettare l’accordo che prevedeva l’approdo nei porti italiani, di tutti coloro che fossero sbarcati o soccorsi nel Mediterraneo, tramite l’operazione Triton.

Presentarsi oggi ad un tavolo di discussione, come recentemente successo a Tallin tra i ministri degli Interni dell’Unione, per cercare di elemosinare quote di persone di cui gli altri Stati, non direttamente toccati da questo problema, dovrebbero farsi carico, non fa altro che mettere in luce un atteggiamento di matrice tipicamente italiana, nel quale il nostro paese, noncurante delle conseguenze di un determinato patto, si ritrova a piangere sul latte versato cercando di scaricare le responsabilità sugli altri Paesi membri dell’UE, additandoli di scarsa compassione, di menefreghismo, oltre che di assenza di spirito comunitario.

Sia chiaro che la rinegoziazione di queste clausole oggi è sacrosanta, ma non può non saltare all’occhio la nostra scarsa lungimiranza. 

In secondo luogo, credo che la frase utilizzata e ripetuta per gran parte del proprio mandato da parte di un presidente degli Stati Uniti fuori dal coro quale è stato Ronnie Reagan, secondo cui “lo Stato non è la soluzione, è il problema!”, possa calzare davvero a pennello.

In effetti lo Stato è veramente il problema, anche per quanto concerne i flussi migratori, le richieste d’asilo e le procedure di espulsione.

Piccola premessa. Mi fanno sorridere svariati esponenti di quella sinistra arcobaleno in salsa umanitarista, che continuano incessantemente a ripetere che non si tratta di un’invasione. Fanno sorridere perchè, se anche attualmente non si può parlare di invasione vera e propria, basterebbe dare uno sguardo ai numeri degli sbarchi avvenuti negli ultimi due anni per rendersi conto che, a questi ritmi, presto rischia di diventarlo. Inoltre, invasione o meno che sia, non è priva di importanza la dignità con cui queste persone vengono collocate temporaneamente in Italia, nell’attesa dell’approvazione o meno della loro richiesta d’asilo politico.

Ma, direte, in che termini lo Stato è il problema? Lo è in termini di lungaggini in termini di tempistiche per quanto attiene all’accoglimento o diniego di una richiesta d’asilo, che col decreto Minniti sono passate da un anno a 4-6 mesi; il chè è senza dubbio un passo avanti, ma ancora insufficiente visti i ritmi e le frequenze di arrivi sulle nostre coste. 

Un altro aspetto del problema, si diceva, è riferito alla complessità delle procedure di espulsione di coloro che vedendosi respinta la richiesta d’asilo, non hanno diritto a rimanere nel nostro paese. Per ottemperare al provvedimento di espulsione in questi casi è infatti necessario un titolo di viaggio del paese d’origine, il quale non sempre è in possesso dei soggetti in questione, rendendo quindi farraginoso e complicato il concreto attuarsi di questa procedura. Va aggiunto inoltre che la mancanza di accordi bilaterali tra l’Italia e diversi paesi di provenienza, complica ulteriormente il quadro, rendendo inattuabile il rimpatrio. 

Vorrei però chiudere in termini non troppo pessimistici, considerando come l’attuale ministro degli Interni Marco Minniti stia, a mio avviso, dando prova di competenza e di sapersi muovere in una situazione che, come ho detto precedentemente, è tutt’altro che semplice da risolvere. Quello che però fa riflettere è l’ennesimo ostacolo che le procedure burocratiche in salsa italiana generano, anche in un ambito dove tutto serve, tranne la lentezza nei procedimenti amministrativi e/o giudiziari.

 

 

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