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Pedofili della Bassa, la dolorosa storia tra Massa, Finale, Mirandola e San Felice

da | Dic 6, 2017 | In Primo Piano, Finale Emilia, Cronaca | 0 commenti

Cosa c’è di più straziante che togliere un figlio dalle braccia della madre? Cosa c’è di più devastante che ordinare che a un bambino vengano tolti i genitori, la casa, i parenti, gli amichetti? O di imprimere col marchio più infamante – pedofilo – persone per bene? Eppure questo è stato nella Bassa, tra Mirandola e Finale Emilia. E’ accaduto vent’anni fa, e se ne torna a parlare in questi giorni grazie a una inchiesta giornalistica di Repubblica che ricostruisce l’accaduto e dà voce ai protagonisti dell’epoca.

La vicenda è stata sempre molto confusa per gli abitanti della Bassa. Non si sapeva esattamente cosa accadesse negli uffici dei Servizi sociali e dell’Ausl, nel commissariato di polizia e poi in Tribunale. Sui giornali locali uscivano titoli allarmistici, si parlava di «losco giro», «giochi sessuali»,  addirittura notizie come le «conferme degli abusi nei filmini» che nessuno ha però mai trovato. La sensazione era che ci fosse qualcosa di sporco, e ci si divideva tra innocentisti e colpevolisti.

Difficile seguire tutti i fili della trama di una storia così complicata. La nuova inchiesta giornalistica, intitolata “Veleno” e realizzata da Pablo Trincia e Alessia Rafanelli, ci riesce. E ne emerge un quadro inquientante e agghiacciante.

Che fine hanno fatto quei bambini

In totale tra il 1997 e il 1998 furono sedici i bambini della Bassa che vennero tolti alle famiglie. Vuol dire, in molti casi, che senza alcun preavviso e senza troppe spiegazioni tuo figlio veniva preso e portato incomunità. E tu non lo avresti rivisto mai più.
Ragazzi che oggi hanno più di vent’anni, che – si è scoperto – vogliono dimenticare e cercare di rimuovere la prima parte della loro infanzia. Reputano che i loro genitori li abbiano abbandonati, che li abbiano difesi a sufficienza. Nessuno a quanto pare li ha informati di come si sono svolti poi i processi.
Solo tre di essi hanno parlato coi giornalisti. Uno, che dalla comunità in cui era stato portato andò via appena potè per tornare a Massa Finalese,  e oggi si dice incredulo a riascoltare le dichiarazioni di quando era bambino, e convinto di essere stato manipolato. Poi una ragazza di Mirandola, portata via da casa a tre anni che recrimina come non le sia stato mai permesso di starealmeno coi suoi fratelli, che non ha mai più rivisto. E un altro ragazzo, di Finale Emilia, che ora vive in un’altra provincia ma che ha spiegato di sentirsi in colpa per quanto accaduto (“gente buona è stata arrestata”) e di provare “rabbia verso la gente che mi ha usato”.

I processi

Furono i racconti di 16 bambini davanti agli assistenti sociali a dare la stura a tutto . Racconti che vennero presi  molto sul serio e da lì ne partì un colossale procedimento guidiziario che si dipanò tra più di venti imputati, cinque filoni di indagini e due procedimenti distinti. Uno per le violenze che sarebbero state commesse in casa, l’altro per quelle che stando ai racconti dei bambini sarebbero successe nei cimiteri di Massa Finalese e Finale Emilia, dove venivano stuprati durante messe sataniche e dove venivano commessi omicidi. Di cui, però, non è mai stata trovata traccia o conferma. Eppure, sulla base dei racconti dei bambini, delle visite mediche e delle perizie psicologiche, all’epoca le condanne arrivarono in primo grado: 56 anni complessivi di carcere. per tutti gli imputati.
Ma dopo qualche anno, nel secondo grado di giudizio, tutto crollò e fioccarono le assoluzioni. C’è chi ha dovuto aspettare 16 anni per togliere il fango sul suo nome, e un paio di persone hanno invece avuto la conferma delle condanna: in due casi, solo in due casi, gli abusi sono stati ritenuti credibili anche in appello, e in due si sono fatti il carcere, rispettivamente, per 6 mesi e per 11 anni. Solo due, su 16 bambini che raccontarono tremende violenze.

I morti

Le voci di paese, i titoloni sui giornali, poi lo strazio dei processi: a molti sono stati fatali. Una giovane donna di Mirandola cui venne tolta la figlioletta si suicidò buttandosi nella tromba delle scale, lasciando un biglietto: “Sono innocente”. Un padre si ammalò e morì in carcere. Don Giorgio Govoni, il parroco di San Biagio, frazione di San Felice – tirato in mezzo nei racconti come il capo della setta satanica che passava di notte a prendere i piccolini per poi seviziarli – morì di crepacuore nello studio del suo avvocato. Un altro padre condannato non riuscì mai a vedere la sentenza di assoluzione piena: morì prima. Ma gli altri genitori anche se camminano e respirano sono tutti morti dentro: da vent’anni non vedono più i loro figli.

Il contesto storico

Perchè è accaduto tutto questo? L’inchiesta giornalistica contestualizza gli avvenimenti allo spirito dei tempi di fine secolo. Siamo negli anni dell’allerta mondiale sui pedofili, in Belgio si scoprivano gli orrori del mostro di Marcinelle e qui in Italia si tornava a parlare di satanismo e messe nere con gli omicidi delle Bestie di Satana. Rievoca come una sensibilità tutta nuova, nelle istituzioni, portò a far aumentare incredibilmente il numero di denunce di casi sospetti di pedofilia. Spiega come a livello governativo qui in Italia vennero stanziati importanti fondi per le comunità di accoglienza per minori maltrattati, che vedevano rimborsi anche fino a 400 euro al giorno. A bambino.

Nessuno oggi chiede scusa

Trincia prova a contattare i rappresentanti delle istituzioni dell’epoca. Ha l’impressione che non siano state fatte adeguate verifiche sui racconti dei bambini. Perchè, ad esempio, quando raccontavano di omicidi e stupri nel cimitero di Finale Emilia nessuno ha chiesto nulla ai vicini le cui finestre si affacciano proprio sul cimitero? Domande che rimangono senza risposta. Non parla coi giornalisti il magistrato, titolare delle indagini. Trincia parla con il capo dei Servizi Sociali di Mirandola, ma il colloquio viene chiuso bruscamente. Trova la piscologa dell’Ausl di Mirandola di cui vengono fatte ascoltare ad altri esperti  le registrazioni dei colloqui coi bambini suoi e di altri. Lei dice di avere sopportato ingiuste accuse e di non doversi giustificare.

Molto probabilmente nel 1997 – è l’ipotesi dell’inchiesta di Repubblica – sono state proprio queste professioniste, e poi la polizia e i giudici, a mettere nella testa dei bambini quella che in realtà era una loro paura, cioè l’esistenza di sette di pedofili satanisti.
Quando i piccoli hanno assorbito questa paura, le loro fantasie deliranti sono diventate una verità per tutti.
E alla fine era troppo rischioso ammettere di aver sbagliato.

E come mai le violenze sui bambini erano supportate anche dalle perizie mediche? Trincia spiega che

Le visite medico legali sulle bambine erano state fatte da una ginecologa di Milano che praticamente in tutti i casi aveva riscontrato violenze di ogni genere. Nel corso dei processi le relazioni della dottoressa vengono però duramente contestate da altri consulenti del tribunale e della difesa.

In un caso analogo, ricorda ancora Trincia “Dal momento che le sue interpretazioni e quelle dei consulenti del tribunale e dei periti di parte erano diametralmente opposte, era stato convocato un collegio di medici, che infine aveva stabilito che sui bambini esistevano segni ‘aspecifici, sospetti o indicativi’ di abuso. Ma in nessun caso segni certi e inequivocabili. Tradotto in parole povere: i bambini forse erano stati abusati. O forse no”.

E mentre oggi è il momento dei processi per risarcimento danni a chi venne accusato ingiustamente, a vent’anni e quattro morti da quei drammatici giorni, nessuno finora ha chiesto scusa per gli errori commessi.

 

 

 

 

 

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