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L’economia del turpiloquio

da | Nov 27, 2019 | Glocal | 0 commenti

di Andrea Lodi

Viviamo in una società dove il turpiloquio viene fin troppo (ab)usato come strumento per umiliare, opprimere e calpestare il prossimo, e che ha assunto un ruolo preponderante nella comunicazione tra gli individui.

Ne fanno un uso smodato certi giornalisti, servitori di un “certo modo” di fare politica, incapaci di rispettare le regole minime della comunicazione e del rispetto degli altri. Incapaci proprio perché non ne conoscono nemmeno il significato: ignorantia ad imperium, dicevano i latini.

Ne fa un uso smodato la politica (o meglio un certo modo di fare politica), ormai incapace di parlare di sviluppo sociale, economia, benessere dei cittadini, occupazione e lavoro, e che ha spostato il luogo della propria inutile esistenza dalle sedi istituzionali alle piazze fisiche e mediatiche. Un certo modo di rappresentare una politica inutile che non dovremmo volere più.

Se ne sono accorte anche le sardine, che da semplici pesci ossei marini della famiglia dei Clupeidae, sono  assurte a unici baluardi difensori della democrazia, contro chi ha trasformato l’offesa ed il turpiloquio in un abile (?) strumento alla base dell’economia moderna: l’economia del turpiloquio.

Perché di economia si tratta. Ne è una conferma l’ascesa politica dei partiti cosiddetti “sovranisti” i cui rappresentanti hanno compreso fin troppo bene che il loro successo è direttamente proporzionale al basso livello della comunicazione: offendere l’interlocutore, diffondere panico tra i cittadini, spargere false notizie e soprattutto non avere alcuna competenza (e un elevato livello di ignoranza), ne fanno i paladini della moderna politica. Come se per alcuni cittadini, troppi, l’urlo prolungato di questi fomentatori di odio smorzasse il loro stato di infelicità. Come una droga. Una droga capace di fare passare in secondo piano misfatti che vanno dall’appropriazione indebita di soldi statali, che nessuno ha mai spiegato loro dove sono andati a finire, fino alla quasi totale assenza nelle sedi istituzionali. Ma gli italiani non si interessano di queste cose. Bazzecole, quisquilie, pinzellacchere, diceva Totò.

Fanno un uso smodato del turpiloquio i nostri figli. Con la scrittura, con le parole, spesso ignari delle orribili offese che riversano contro i loro coetanei. Non ne conoscono il significato, ma non sono nemmeno interessati a conoscerlo. L’importante è il terribile suono di parole come “puttana”,  “frocio”, “disadattato”, “negro”, “terrone”, “troia”, “pezzente”, “ritardato” e via turpiloquiando.

Parole che ascoltano in famiglia, a scuola, in palestra, in discoteca, in tutti i luoghi che frequentano. Parole che vengono propinate loro continuamente dai mass media. E’ sufficiente ascoltare un qualunque talkshow di una qualunque rete televisiva (alcune si sono addirittura specializzate) per costruirsi un ben nutrito patrimonio di parole offensive. Parole che sono entrate nel normale lessico di tutti i giorni.

Si è dovuto scomodare Tiziano Ferro, di professione cantante, molto amato anche dai giovani, per lanciare un appello proprio a quei giovani che tanto lo apprezzano, a cambiare rotta. A non lasciarsi catturare dalla falsa economia del turpiloquio, perché alla lunga, esattamente come una droga, ti lascia a terra, privo di forze, privo di ideali, incapace di comprendere quanto male ci sia dietro ad un uso improprio di un bene prezioso che l’uomo ha costruito in migliaia di anni: la parola. Quella che manca agli animali, che in fatto di rispetto, ne sanno molto più di noi umani. Perché leconomia del turpiloquio è distruttiva, rimpolpa soltanto le casse dei fomentatori di odio.

Le parole hanno un peso, dice Tiziano Ferro, “e certe ferite resistono nel tempo”.

“L’apologia dell’odio non è un reato che dovrebbe poter cadere in prescrizione”, continua il noto cantante.

Ed è proprio questo il punto. Dovremmo scomodarci tutti noi cittadini. Dovremmo pretendere dalle istituzioni di mettere al bando l’uso improprio delle parole, soprattutto quelle che fanno male. Dovremmo imparare a fare economia di parole. Tutte. Soprattutto quelle lì, quelle che fanno male. Tanto male. Non solo agli individui, ma ad un intero Paese. “Io intanto aspetto tempi migliori – continua Tiziano Ferro – nei quali le parole magari un giorno avranno un peso”.

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