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Laurea o diploma: questo è il dilemma

da | Gen 29, 2020 | Glocal | 0 commenti

di Andrea Lodi

Secondo l’Osservatorio dell’OCSE sull’educazione, che analizza i sistemi dell’istruzione di 34 Paesi nel mondo, comparandoli con le richieste del mercato del lavoro, in Italia il diploma di istruzione tecnica e professionale garantisce maggiori possibilità occupazionali rispetto alla laurea.

Poco più del 40% dei giovani italiani è iscritto ad una scuola superiore a indirizzo tecnico-professionale, contro circa il 30% che ha scelto un liceo. Circa il 15% in più rispetto alla media OCSE.

Laurea o diploma?

Il 70% circa dei giovani che escono da un percorso di studi tecnici e professionali riesce a trovare un impiego entro l’anno dal diploma. Il restante 30% è rappresentato da giovani che intraprendono gli studi universitari, altri che scelgono percorsi lavorativi diversi dalle competenze acquisite ed infine da diplomati che hanno scelto competenze meno spendibili sul mercato del lavoro. Si tratta soprattutto dei diplomi tecnico-amministrativi. Esiste ovviamente anche il fenomeno, tutto italiano, del “poltronismo”, ovvero la propensione di alcun giovani a non decidere “cosa fare nella vita”, e a vivere a spese dei genitori. Fenomeno che interessa soprattutto i laureati.

Lo skill mismatch

Secondo l’OCSE, infatti, l’orientamento dei neolaureati in Italia è poco legato ai bisogni emergenti dell’economia: circa il 40% dei laureati proviene da facoltà umanistiche o artistiche, rispetto al 25% laureatosi in una disciplina tecnico-scientifica o al 14% in economia, che garantirebbero maggiore occupazione. Con conseguenze negative per il tasso di occupazione dei laureati.

Ovvio che non si può pensare ad una società costituita soltanto da competenze tecniche. Occorrono anche umanisti, sociologhi, politologi, filosofi, insomma una nutrita schiera di pensatori, che se guardiamo al passato, sono stati i capisaldi delle moderne democrazie.

Il problema dello skill mismatch, ovvero il gap esistente tra domanda e offerta di lavoro (che in realtà si traduce come la differenza tra le competenze delle persone e quelle che le persone dovrebbero avere per fare bene il proprio lavoro) però esiste, ed è un fenomeno, purtroppo, ben radicato in Italia.

Secondo l’OCSE in Italia è evidente che è necessario da un lato accompagnare i giovani verso scelte di orientamento più consapevoli dei bisogni emergenti e rinforzare i legami tra insegnamento universitario ed economia sul territorio, e dall’altro rafforzare un sistema di riqualificazione professionale per i meno giovani, al fine di aggiornarli sui cambiamenti che interessano il mercato del lavoro.

Per raggiungere questo obiettivo è evidente che occorre anche un maggiore legame tra le Pubbliche Amministrazioni e la società. Inteso come coerenza tra bisogni emergenti e spesa pubblica.

Quanto spende l’Italia per l’istruzione

Secondo l’OCSE l’Italia destina circa il 7% della spesa pubblica alla voce istruzione, contro il 10% circa dell’Europa e l’11% dell’area OCSE. E’ evidente che per i nostri governanti l’istruzione non è poi così importante. Così come è evidente che lo skill mismatch riguarda in particolare la classe politica. In questo caso da leggersi come “mancanza di competenze”. E’ chiaro che non si può fare di tutta un’erba un fascio, come dicevano i nostri saggi antenati contadini. Però il problema esiste. Non sarebbe male quindi, che, così come per poter svolgere la professione medica è necessario conseguire un diploma di laurea in medicina, per poter svolgere la funzione di “politico” occorresse frequentare appositi corsi di qualificazione, aggiungendo anche un sistema di regole e comportamenti alla stessa stregua del giuramento di Ippocrate per i medici.

Un tempo esistevano le scuole di partito, che garantivano amministratori pubblici seri e competenti. Chiuse da un finto riformismo che ha di fatto barbarizzato il sistema. Rendendolo anche facile preda di fenomeni altamente corruttivi.

In conclusione: per i Paesi OCSE l’istruzione è importante, è alla base del mantenimento di una società consapevole e partecipativa. Un sistema d’istruzione che sappia aggiornarsi ai cambiamenti dell’economia e della società, e che sappia proiettarsi verso il futuro.

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