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Lutto a Camposanto per la scomparsa di Pasquino Branchini

da | Mar 10, 2020 | Camposanto | 0 commenti

Lutto a Camposanto per la scomparsa di Pasquino Branchini. Aveva 83 anni e per quasi mezzo secolo è stato  il custode del campo da calcio del Comune, dove lavorava come dipendente. Tifosissimo della Virtus, è considerato una istituzione da generazioni di camposantesi.

Commosso il ricordo dell’ex vicesindaco Luca Gherardi:

Gheraaardiiiii, a go da pisar!

Per settimane, dopo il terremoto, ho dormito in palestra insieme ad altre 150 persone disperate come me. Oltre a tantissimi meravigliosi volontari e ai ragazzi di terza media con cui di notte si ripassava Ungaretti per l’esame, là c’era Pasquino, ex dipendente comunale, attivissimo nella Virtus, conosciuto e stimato da tutti. Oggi ci ha lasciato e con lui se ne va una figura conosciutissima in paese che, in quelle settimane allucinanti, è sempre stato al mio e al nostro fianco! Mattina, giorno, sera e notte! La palestra era il suo regno: gli altri al mattino andavano, poi tornavano, poi ripartivano: lui sempre lì! Con una parola buona, una battuta, qualche bestemmia (di quelle in dialetto però, da non considerare bestemmie vere e proprie), un aneddoto per tutti quelli che passavano, di qualunque lingua, di qualunque età! Era rassicurante, per chi come me viveva in trincea più o meno 22 ore al giorno, pensare di tornare in palestra a qualunque ora e sapere di trovarlo là, sveglio, a fumarsi una sigaretta sulla porta laterale, pronto a dirmi “in vot una?”… E in quelle due ore di sonno, immancabilmente, tuonava (la voce era bella profonda e il rimbombo della palestra notevole): “Gheraaaardiiii, a go da pisar!”… doveva andare in bagno, ma l’età, l’ingombro, la fatica a camminare, la situazione gli suggerivano di non andare da solo! Lui rassicurava me e io rassicuravo lui! E alla mattina il primo impegno del vicesindaco era portare il cappuccino a Pasquino, direttamente dal bar che, senza neanche preavviso, me lo faceva trovare pronto alle 6,30, nel bicchiere in cui lo voleva lui, con il cucchiaino con il manico lungo.
“Dammi un tavor!”: dieci gocce d’acqua in un bicchiere d’acqua e si addormentava! I miracoli del placebo…
È stato per tutti noi là dentro un gigante: ci ha aiutato a non perdere la tenacia, a ritrovare la voglia di ridere, a sdrammatizzare momenti davvero tesi e ad affrontare il caos con una leggerezza da fare invidia a Calvino! Gli abbiamo voluto un sacco di bene e abbiamo continuato a volergliene anche dopo, cercandolo, chiamandolo, andandolo a trovare in Comunità alloggio e, quando è stato necessario, anche all’ospedale! Tutti mandavano i Vigili del Fuoco nelle case per recuperare vestiti, effetti personali: lui li ha mandati a prendere dal frigo il salame e la torta, perché voleva che li mangiassimo lì, davanti alla palestra, in quelle sere afose in cui non si voleva mai andare a letto, per paura dell’ennesima scossa notturna. Ognuno di noi in palestra aveva una branda; lui un angolo arredato con tanto di tv allacciata al condominio di fianco (c’erano gli europei e nella vita ci sono delle priorità!)…

Gli mando un abbraccio ora che non c’è più, un abbraccio di gratitudine. Ho raccontato queste piccole storie – ma neanche tanto piccole – per augurargli buon viaggio. Non andrò, con grandissimo dispiacere, al suo funerale, come è giusto in questi giorni. Porterò però quel “Gheraaardiii” nel cuore e presto lo andrò a trovare al cimitero!

L’ho conosciuto davvero quel 20 maggio, quando lo abbiamo dovuto obbligare a lasciare casa sua senza danni ma con troppe scale, dove poi sarebbe rientrato alcune settimane dopo, ancora una volta obbligato perché lui, il Pasqui, sarebbe rimasto a vivere nella sua palestra, con noi, in compagnia, mangiando la torta che i Vigili del Fuoco avevano recuperato dal suo frigo (e che noi avevamo sostituito perché nel frattempo erano passate settimane, ma deluderlo proprio non si poteva).

Ciao Pasqui, continua da lì a dire a tutti la tua, ne abbiamo bisogno! Soprattutto in questi tempi ancora una volta complicati in cui, spesso, si perde la diritta via, come è successo in quell’estate folle.

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