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L’Italia non ama chi ha successo

da | Dic 10, 2015 | Editoriale | 0 commenti

di Andrea Lodi *

Quante volte ho visto discenti rimanere stupiti di fronte alla esplicitazione del concetto di “rischio d’impresa”, che nella sua declinazione è suddividibile in quattro diversi tipi di rischio. “Quattro?” – mi domandano. Si, oltre ai tre tradizionali, vale a dire “rischio finanziario” (perdita di soldi), “rischio economico” (perdita del lavoro) e “rischio giuridico” (aspetti legali), c’è da considerare l’ultimo ma non meno importante “rischio sociale”, che nella nostra cultura latina è da tradursi in “paura del fallimento”.

La paura del fallimento, come ci ricorda Brian Cohen – uno dei più attivi investitori in start-up americane, presidente della “New York Angels”, un’Associazione che raggruppa oltre centoventi investitori, i più attivi della East Coast americana – è la conseguenza della paura di sbagliare, perché “da noi chi fallisce è marchiato a vita”.

Il problema dell’Europa, continua Cohen, è che è rimasta indietro nelle tecnologie digitali per un problema culturale: manca la cultura del fallimento. Andrebbe aggiunto, per precisione, che è più un problema di alcuni Paesi europei, Italia in testa, perché nei Paesi nordici le cose funzionano esattamente al contrario.

Pochi provano”, continua Cohen “Troppa paura di sbagliare: da voi chi fallisce è marchiato a vita. Qui, invece, riparte subito: riprova, mette a frutto la lezione appresa con l’insuccesso. Ma, più ancora di questo, a voi manca la cultura del successo: se vinci la tua sfida e guadagni parecchio non vieni celebrato, vieni avvolto dal sospetto: chi sta soffrendo per colpa tua? A chi hai fatto del male mettendoti in tasca tutti quei soldi? Pensi di meritarli? Non dovresti darli a chi ne ha bisogno? Un giovane imprenditore che ha successo deve quasi nasconderlo. È terribile

Queste, ed altre, sono le dichiarazioni che Brian Cohen ha sostenuto in una intervista rilasciata al Corriere delle Sera.

Il futuro dell’Europa

Cohen, giramondo alla ricerca di idee ed imprese promettenti su cui investire, non ha una buona opinione dell’imprenditoria europea che considera attaccata ad un modello organizzativo ormai superato.

Ritiene che “da noi” sussiste una sorta di disprezzo per il capitalismo che non è soltanto un dato politico, ma mancanza di una precisa cultura del rischio, del fare impresa.

«Guardi – afferma Cohen al giornalista del Corriere della Sera – per molto tempo ho pensato che questo della scarsa cultura del successo fosse uno stereotipo. Poi, viaggiando, visitando, parlando, mi sono reso conto che non è così … in Europa vengono coinvolti i Governi. A due livelli. Quello delle regolamentazioni, certo, ma poi c’è quella visione sociale o socialista – l’impresa o il governo che si devono prendere cura di te – che crea un ambiente ostile alla cultura delle start up. Che, però, sono destinate a giocare un ruolo sempre più rilevante in tutte le economie. Chi non lo capisce resta indietro».

Cohen considera la grande impresa in forte crisi. Un modello che non regge più la competitività delle piccole. Verrebbe da dire, “piccolo è bello”. Certo che detto da un Americano, in un contesto economico, il nostro, dove il 99% delle imprese sono PMI, e che comunque contribuiscono a creare una tra le prime economie del pianeta, verrebbe da far ricredere l’investitore americano in merito alla scarsa propensione dell’Italia al rischio d’impresa. Ma andiamo avanti.

Conclusioni

Dopo elucubrazioni varie su pensioni, che per l’americano non dovrebbero esistere, ed altre considerazioni forse un po’ troppo offuscate, probabilmente, da manifestazioni di eccessiva euforia da arricchimento precoce, si arriva alla stoccata finale: “I big hanno solo un modo per sopravvivere. Hanno ancora molti soldi in cassa: possono usarli per comprare start-up che, così, diventano il loro centro ricerche. Molti lo stanno già facendo”.

Ed è questo il punto, sul quale in effetti esce il pragmatismo e la capacità manageriale dei nostri lontani “cugini” d’oltre oceano: il rapporto diretto tra la flessibilità ed i bassi costi delle piccole start-up e la capacità produttiva e relazionale delle grandi imprese. Un binomio che fa comodo ad entrambi. Credere che le PMI possano competere con le Grandi Imprese, ritengo sia difficilmente ipotizzabile. Una stretta collaborazione invece, è sicuramente la strada migliore. Ed è ciò che manca dalle nostra parti: la collaborazione tra i vari soggetti che concorrono al successo imprenditoriale: ricerca, innovazione, capacità imprenditoriali e mercato. In America invece questo è possibile.

Tante sono le cose che ha raccontato Cohen al Corriere della Sera. Alcune estremamente interessanti, altre, per lo meno per noi “sonnolenti” europei, stravaganti. Per concludere direi che il “cohenpensiero”, si possa riassumere nella seguente affermazione: “alla domanda cos’è un’auto, un mio collega l’altro giorno ha risposto: uno smartphone con quattro ruote. Le sembrerà eccessivo, ma dà l’idea di dove stiamo andando”.

Insomma se vogliamo garantirci la pensione, secondo Cohen, dobbiamo progettare la nostra start-up. Un mondo pieno di start-up. Che cosa servano e facciano, non si sa, l’importante che ci sia un business angel pronto a scommetterci.

 

* Andrea Lodi, originario di San Prospero (MO) è aziendalista, specializzato in Pianificazione Strategica. Giornalista economico, da gennaio 2009 cura “Economix“, la rubrica economica di PiacenzaSera.it; da settembre 2014 collabora con SulPanaro.net.

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