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22 Settembre 2023
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Redditi dei modenesi sempre più giù. Donne e giovani sempre più poveri

Redditi dei modenesi sempre più giù. Donne e giovani sempre più poveri.  E' quanto emerge dall'indagine di Federconsumatori sul reddito dei lavoratori e lavoratrici modenesi, basata sui dati del primo CAAF della nostra regione, la CSC di Modena (il CAAF della CGIL di Modena). I dati mostrano l’emergenza redditi; un problema che ovviamente non riguarda solo la nostra provincia. Sono state 470.121 le dichiarazioni dei redditi dei modenesi esaminate negli anni fiscali 2016-2021. Diciamo subito che il dato più rilevante è che a Modena crescono le differenze, si allarga la forbice dei redditi, e quelli deboli lo sono ancora di più. Allo stesso tempo i redditi del 2021, elaborati da CSC alla data del 21 agosto 2022, registrano un incremento non scontato, frutto dell’importante ripresa di quell’anno dopo la fase più acuta della pandemia. E’ certamente una buona notizia, peraltro l’unica; i nostri dati registrano un incremento generale dei redditi del 3,2%, che deflazionato si attesta ad un più modesto 1,2%Dati comunque positivi, che sono accentuati nei settori dove sono stati rinnovati i contratti collettivi nazionali ed aziendali, e nelle imprese a bassa intensità di lavoro nero ed irregolare. Ma la notizia negativa è che questo recupero riguarda in grandissima prevalenza una precisa fascia di lavoratori: uomini, qualificati e over 45. Al contrario resta fermo, od arretra in termini di potere d’acquisto, il reddito dei giovani, delle donne, dei precari, di chi opera nei settori della logistica, del turismo, del commercio, della sanità privata; senza dimenticare abbigliamento ed edilizia. Tutti settori caratterizzati, in particolarenelle piccole imprese, da una maggiore incidenza dei fenomeni di irregolarità nei rapporti di lavoro. La forbice si allarga ancora, le distanze si accentuano e diventa semplice collegare questa condizione alla crisi demografica, alle culle vuote. In provincia di Modena sono calati quasi di un terzo i nati tra il 2008 ed il 2020. Il recupero di reddito di una porzione del modo del lavoro non deve far suonare le campane a nessuno; l’arretramento del reddito medio supera, tra il 2016 ed il 2021, in termini reali, i 900 euro, vale a dire -4,6%. Questo in attesa del terribile 2022, con l’inflazione che ha eroso in modo vistosissimo i redditi di tutti i lavoratori e pensionati. Pensionati che non sono di certo, sul fronte del reddito, esenti da problemi. Arretra sempre più vistosamente il reddito dei pensionati più giovani, arrivando alla quiescenza i lavoratori, ed in particolare le lavoratrici, con condizioni più svantaggiose rispetto al passato. Cali a volte impressionanti, e brutte notizie anche per i figli, visto che in molti casi i genitori sono il loro paracadute reddituale. Non c’è quindi nessuna guerra tra giovani e anziani, tra precari e occupati. A Modena e nel nostro paese siamo dentro ad un problema generale, ben evidenziato dall’essere l’Italia il fanalino di coda nelle classifiche europee dell’evoluzione salariale. Abbiamo detto che c’era una sola buona notizia, la crescita dei redditi nel 2021, seppur limitata ad alcune aree. Le notizie cattive sono invece tante.
  • A Modena, per il nostro osservatorio sui redditi, la “fascia debole” è ormai maggioritaria, mentre la “fascia intermedia” si assottiglia sempre di più.
  • Peggiora o rimane negativa la condizione reddituale nei settori a forte presenza di lavoro irregolare, segnale di una crescita di lavoro nero e grigio, di falsi part-time, di false collaborazioni.
  • Sembra inarrestabile, nelle nuove assunzioni, la crescita del tempo determinato, a discapito di quello a tempo indeterminato, diventato marginale.
  • I lavoratori e le lavoratrici nate all’estero registrano, in provincia di Modena, un reddito inferiore del 25% rispetto ai nati in Italia. Un dato influenzato dalla massiccia presenza di stranieri nei settori poveri: il turismo, i servizi, la logistica.
  • C’è una questione femminile di dimensioni enormi. Il reddito delle donne lavoratrici è inferiore del 26,5% rispetto a quello degli uomini; quello delle pensionate del 23,3% rispetto agli uomini pensionati. Nei redditi da lavoro sopra i 60.000 euro le certificazioni relative a dichiarazioni di donne rappresentano meno del 20% del totale.
La stabilità lavorativa e la sicurezza economica, per i giovani, arriva ormai in una età nella quale i loro genitori avevano già versato 15/20 anni di contributi, mentre i loro nonni erano, appunto, potenzialmente già nonni. La precarizzazione estrema del mercato del lavoro italiano conta tra gli effetti perversi la denatalità,l’invecchiamento della popolazione, la difficile sostenibilità del Welfare State, la fragilità crescente dei legami sociali. Nella precedente indagine ci chiedevamo cosa sarebbe successo se l’inflazione tendenziale al 4% nella parte finale dell’anno fosse stata destinata a crescere, a fronte di salari fermi al palo. A dicembre 2021 scrivevamo: “L’incremento choc delle bollette d’energia e la crescita incontrollata dei prezzi di beni e servizi, unito alla innegabile contrazione dei redditi, potrebbe determinare una condizione inedita per il nostro paese, con la soglia della povertà che si sposta sempre più in alto, anche in una provincia che si pensa ricca e grassa, per analisi arretrate e fuori dal tempo.” Oggi la situazione è nettamente peggiorata; la guerra in Ucraina, le speculazioni internazionali e nazionali, il laissez faire sul fronte dei prezzi, ci mettono di fronte ad un crollo dei redditi reali che avrà dimensioni clamorose. Un crollo che non solosposterà ulteriormente la soglia di povertà, ma che avrà effetti pesanti anche sul ceto medio. Con l’inflazione 2022 che si avvia alla doppia cifra le narrazioni ottimistiche, prevalenti ad inizio anno, fanno oggi l’effetto di un gesso sulla lavagna. Mentre i cittadini si avviano alle urne il dibattito politico attorno ai redditi sembra limitato al tema delle decontribuzioni, delle erogazioni una tantum,e quello sulla denatalità ad interventi marginali, peraltro già proposti e mai attuati.Misure non sufficienti, in assenza di interventi che riducano in modo vistoso il livello di precarietà nell’accesso al mondo del lavoro e che pongano al centro il tema della distribuzione della ricchezza. Una precarietà che chiama bassi redditi, bassi diritti, alta incertezza nel futuro, e che si intreccia con spaventosi dati demografici. Un tema pressoché assente nel dibattito elettorale, forse perché renderebbe necessaria, da parte di tutte le forze politiche, una autocritica sul proprio operato. In conclusione, in una campagna elettorale dove le urne potrebbero essere ingombre, più che di schede, di bollette e buste paga, è indispensabile che emergano con chiarezza i programmi e le azioni concrete che le forze politiche vogliono attuare. E’ indispensabile sapere se chi si candida a guidare il paese vuole o non vuole ridurre in concreto la precarietà nel lavoro, che colpisce soprattutto giovani e donne. Se vuole o non vuole ridurre le diseguaglianze nella società; cosa vuol fare, sempre in concreto, per ridurre la differenza nel salario e nelle pensioni tra uomini e donne. Un serio dibattito su questi temi sarebbe utile per trasformare una campagna elettorale sempre più distante in un importante e partecipato momento democratico. Elisabetta Valenti Presidente CSC Caaf Modena Marzio Govoni Presidente Federconsumatori provincia di Modena APS
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