Due parole sull’economia italiana
Scrivere della situazione economica del nostro Paese in questo periodo così “particolare”, non è un’impresa semplice. I dati macroeconomici, tutto sommato, ci presentano un quadro non così grave. Ovviamente se si è ottimisti. Nel senso che sarebbe potuto andare peggio. I dati parlano chiaro. Prendiamo ad esempio il tasso di inflazione, che pare assestarsi attorno ad un +6,5%, quando il tasso d’inflazione cosiddetta “positiva” è attorno al 2%.
Per non parlare poi del tasso di disoccupazione, determinato, pare in parte, dal fenomeno del cosiddetto “skills mismatch”. Certamente l’aumento dei prezzi dei beni energetici e di quelli alimentari stanno gravando molto su imprese e famiglie. In un Paese, l’Italia, dove il risparmio rappresenta il 7,6% del PIL, e considerando che gli italiani sono considerati tra i principali risparmiatori d’Europa, significa che tutto sommato in media ogni italiano è in grado di patrimonializzare una buona parte del proprio reddito. Occorre considerare inoltre che l’Italia è un Paese che garantisce un buon livello di benessere ad ogni cittadino, grazie soprattutto ad un sistema di welfare pubblico che funziona. Certo le disuguaglianze, soprattutto tra il Nord ed il Sud Italia sono evidenti. Ma questo è un problema di cui nessuna forza politica ha mai voluto occuparsi seriamente.
L’inflazione
A marzo l’inflazione registra un +6,5% a causa soprattutto dell’aumento dei prezzi dei beni energetici e dei generi alimentari.
Nel primo trimestre 2022 l'impatto dell'inflazione, misurata dall'IPCA (l'indice dei prezzi al consumo armonizzato per i Paesi dell'Unione Europea), è più ampio sulle famiglie con minore capacità di spesa rispetto a quelle con livelli di spesa più elevati (rispettivamente +8,3% e +4,9%).
L'accelerazione dell'inflazione su base tendenziale (che misura i prezzi dei prodotti al momento della loro produzione) è dovuta prevalentemente all’aumento dei prezzi dei beni energetici (la cui crescita passa da +45,9% di febbraio a +50,9% attuali). Rispetto allo stesso periodo dell’anno i costi dei beni energetici è quasi raddoppiata, se consideriamo anche l’incidenza dei costi fissi (prezzi della componente regolamentata).
“Temo che se anche finisse la guerra, l'inflazione rimarrebbe alta per un po’ di tempo perché ormai si è creata una certa inerzia – afferma il noto economista Carlo Cottarelli - I prezzi salgono soprattutto negli Stati Uniti, che sono una zona del mondo talmente grande che influisce su tutto il resto dell'economia mondiale. Qui già si è creata un'inerzia in cui tutti i prezzi vanno su, in Europa un po’ meno però noi risentiamo anche di quello che succede nel resto del mondo".
Prestiti alle famiglie
Cresce il numero delle famiglie che faticano a pagare le rate dei mutui accesi per l’acquisto di beni durevoli. Il totale del credito deteriorato riconducibile ai bilanci familiari si è attestato a 12,3 miliardi a febbraio, contro i 10,8 miliardi di novembre 2021 (circa +14%).
Si assiste ad una brusca inversione di tendenza. Dopo quasi sei anni consecutivi di riduzione del credito deteriorato riconducibile alla clientela privata, calato progressivamente da maggio 2016, nell’ultimo anno le difficoltà causate dalla crisi economica innescata dal Covid19, hanno generato un consistente aumento dei crediti deteriorati. Fenomeno che si prevede in aumento a causa anche delle difficoltà determinate dalla guerra in atto tra Russia ed Ucraina.
Le stime sul PIL
Il Fondo Monetario Internazionale stima per l’Italia una crescita del 2,3% nel 2022, rispetto al 3,8% ipotizzato ad inizio anno, con un “taglio” dell’1,5%. Per il 2023 si stima una crescita ferma all’1,7% con una riduzione dello 0,5% rispetto alle previsioni di gennaio. Per comprendere la gravità della situazione, l’anno scorso il Pil italiano è salito del 6,1%. Nell’Eurozona, oltre all’Italia, i tagli più consistenti riguardano anche la Germania, anch’essa con un sistema economico fortemente rappresentato da industrie manifatturiere e con una forte dipendenza, dal punto di vista energetico, dalle importazioni dalla Russia.
L’impatto sull’occupazione
Sul fronte occupazionale si assiste ad un fenomeno fortemente contraddittorio, tipico del nostro Paese.
Se da un lato molte imprese del settore manifatturiero, a causa soprattutto dell’aumento dei costi energetici e delle materie prime, hanno “frenato” le assunzioni (-8,5% rispetto al periodo precedente), altre denunciano una sostanziale difficoltà nel reperimento di mano d’opera.
Ad aprile il tasso di disoccupazione complessivo in Italia è dell’8,5% e del 24,2% quello giovanile. Nello stesso periodo, secondo il bollettino pubblicato dal Sistema informativo Excelsior (realizzato da Unioncamere e Anpal), risulta tuttavia “introvabile” il 40,4% dei profili professionali. Si chiama skills mismatch, ovvero la mancata corrispondenza tra le competenze richieste dalle aziende e quelle possedute dei lavoratori. Secondo Anpal il 12,7% è determinato da preparazione inadeguata dei candidati, il 24,5% dalla mancanza di candidati ed il 3,2% da “altri motivi” non evidenziati.
L’analisi di Bankitalia
Il quadro macroeconomico delineato da Bankitalia è da considerarsi di “eccezionale incertezza”, a causa soprattutto dei due anni di freno dell’economia per la crisi pandemica e per le tensioni generate dalla guerra in Ucraina. Nel primo trimestre del 2022 l’Italia ha perso mezzo punto di Pil: “valutiamo che la produzione industriale sia diminuita nel primo trimestre e che la spesa delle famiglie si sia indebolita; nel complesso stimiamo che il Pil possa essersi ridotto di poco più di mezzo punto percentuale nei primi tre mesi del 2022”. È quanto riferisce Fabrizio Balassone, capo del servizio struttura economica della Banca d’Italia. “Le ripercussioni dipenderanno dalla prosecuzione del conflitto, che finora si è manifestato con il rialzo dei prezzi delle materie prime – continua Balassone - e le conseguenze saranno più accentuate per le economie europee ma anche per quelle dei paesi emergenti che sono esposti a strozzature per l’offerta soprattutto di beni alimentari”.
Conclusioni
E’ indubbio che l’attuale situazione che sta vivendo l’Europa, a partire da quel fatidico mese di febbraio del 2020, in cui il mondo intero ha scoperto quanto siamo effettivamente deboli e che il sistema economico e socio-sanitario che abbiamo messo in piedi non è poi così efficiente come l’abbiamo immaginato, e che le tensioni tra le diverse culture, se così possiamo definirle, non hanno mai smesso di fare soffiare possibili venti di guerra, ci ha messo di fronte alla necessità di ridefinire i “termini della questione”.
Ci ha messo di fronte alla necessità di ridefinire la destinazione della spesa pubblica, delle politiche sociali ed occupazionali, dell’evidente stortura di alcune forze politiche che fanno del nazionalismo la loro bandiera. Ciò di cui ha bisogno oggi l’Europa, e il conflitto in atto in Ucraina ce ne sta dando conferma, è un’Europa che vada contro ogni forma di individualismo e che sappia fare fronte comune di fronte alle nuove sfide di un futuro che è ormai presente. La gestione della “cosa pubblica” deve essere affidata a persone competenti e un po’ meno “egoriferite”, se possibile. E’ finito il tempo della politica che rincorre prevalentemente interessi di parte. E’ iniziato invece un periodo nuovo, una nuova consapevolezza dove la parola d’ordine deve essere “collaborazione”. Gli americani pare non l’abbiano ancora capito.
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