Finalestense a trent’anni: la voglia di vestirsi non ha età – IL RACCONTO
Di Chiara Marchetti
Finalestense a trent'anni: la voglia di vestirsi non ha età
Vestirsi o non vestirsi. Per chi è più vicino ai trent’anni che ai venti, questo è il dilemma nei giorni che precedono Finalestense. La paura di sentirsi una boomer tra gli adolescenti è realtà, così come lo è il timore di sentirsi fuori luogo in una festa che prima della pandemia era più attesa di Capodanno. Impossibile far finta che non ci sia, impossibile mancare, nonostante a ogni edizione si esordisca con un “giuro che questa è l’ultima volta” o un “sono troppo vecchia per queste cose”.
Finalestense è Finale e essere finalesi, un appuntamento che fa tornare a casa chi abita e lavora lontano, che fa uscire in paese chi di solito bazzica posti come il Salotto a Mirandola o la Rimessa del Golf a Cento.
C’è un senso di orgoglio che prende alla sprovvista chi partecipa e che sorprende chi pensava di essere troppo grande per certe cose. Un evento di tre giorni per le vie di un centro storico di solito snobbato, ma il quale, con grazie ai sorrisi delle persone, sembra riprendere vita e vitalità. Quest’anno gli spazi dedicati alla manifestazione sono ridotti a causa di cantieri per la riqualificazione di piazza Garibaldi e quelli per la ristrutturazione del Duomo, ma la nuova organizzazione non crea disagio. Al contrario, avere tutto in un’unica via con mercatini e taverne dà un senso di unità e non disperde l’allegria.
Si esce con gli ultimi raggi di sole che filtrano tra le locande, sono poche le persone in strada. Per un secondo il pensiero è straniante, la gente si è forse dimenticata della magia e della festa? I più ansiosi hanno addirittura prenotato la cena per le 19.30, altri si fiondano a comprare le frittelle prima che finiscano. Gli stand cominciano a riempirsi, così come si allunga la fila per comprare la sfogliata sotto i portici, dove leggenda vuole sia più buona.
Ma è quando si vedono i primi ragazzi camminare veloci perché in ritardo per la sfilata che l’atmosfera si carica di entusiasmo, lo stesso entusiasmo assopito da due anni di serie Netflix e mascherine. I tamburi in lontananza danno il segnale di partenza del corteo e mentre il sole è ormai tramontato e si accendono torce e candele, ecco che si comincia.
Prima i cavalieri con l’armatura, poi i nobili e i figuranti, o forse è il contrario. Non si capisce da dove è iniziata la sfilata, chi è partito prima e dove stanno andando. Ovviamente non importa. Nel frattempo, sono tantissime le persone che hanno mangiato a casa per poi riversarsi nelle strade e assistere al corteo. C’è chi filma tutto e viene da chiedersi quando ci sarà il tempo e la voglia di guardarsi mezz'ora di cori e sventolii di bandiere.
Poi eccoli, i ragazzi delle cerchie. Sbucano dietro gli ultimi contadini, con la loro energia ed eccitazione mentre cantano, battono le mani a tempo e urlano cose incomprensibili. Si vede che si sentono parte di un gruppo, parte di qualcosa di importante, anche solo per una sera.
Chi osserva da fuori ha voglia di essere trascinato nella bolgia, quasi spera che qualcuno si stacchi dal corteo e lo prenda per mano. Non succede e si va avanti, in direzione del Teatro Sociale. Qui i Mercenari d’Oriente giocano con il fuoco, simulano combattimenti e fanno acrobazie, ma l’attenzione inizia a calare. Ora ci si può mischiare gli uni con gli altri, le squadre non esistono più.
Tori con Cappuccini, Pirati con Dragoni. Per chi l’ha frequentato a Finale, sembra di essere tornati al liceo, e come allora ci sono persone che fanno finta di non vedersi, nonostante frequentino gli stessi luoghi da dieci anni. Ma si rivedono anche gli amici di sempre che la vita ha allontanato. Ci si aggiorna, perché dai social – per fortuna – non si capisce sempre tutto. Cosa fai adesso, dove lavori, con chi stai. Ma lo sai che quella è incinta? Tante le nuove famiglie, i bambini pronti a prendere il testimone dei genitori. Nonostante la pandemia sia stata pesante da sopportare e per quasi tre anni il divertimento è dovuto passare in secondo piano, i ragazzi ubriachi si contano sulle dita di una mano. Forse è solo la prima sera, o forse è sparita la tipica e imbarazzante tradizione di andare a svenire ai Giardini Pubblici.
Finalestense è tornato ed è un tuffo al cuore. Rassicura e conforta, ti culla nei ricordi e ne crea di nuovi. Alla fine della prima serata, il dilemma non è più vestirsi o non vestirsi, ma decidere di quale cerchia fare parte.
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