L’inflazione e l’inadeguatezza delle politiche economiche
FRENA L’ECONOMIA ITALIANA
Secondo l’ultimo rapporto di Bankitalia l’economia del nostro Paese è ferma. L’inflazione resta alta. Sebbene i costi per le aziende pare siano in discesa, i prezzi di beni e servizi continuano a salire.
Una spirale speculativa che indebolisce ulteriormente i salari degli italiani, ma contribuisce ad aumentare i patrimoni degli industriali.
La crescita economica, secondo il rapporto di Bankitalia, dopo il rimbalzo del primo trimestre si è interrotta, ed il PIL è rimasto pressoché invariato in primavera.
Nei prossimi mesi si spera che la crescita prevista dell’1,3% rimanga confermata, anche se è necessario che siano approvate misure antinflazionistiche per rafforzare i salari degli italiani.
L’INFLAZIONE
Il tasso d’inflazione, uno dei più alti in eurozona, si dovrebbe portare ad una media del 6%. Decisamente migliore dell’8,9% registrato a settembre 2022. Il problema è che la previsione di riduzione, comunque prevista nel 2024 (che dovrebbe portarsi attorno al 2%) determinata soprattutto dagli effetti diretti ed indiretti del calo dei prezzi delle materie prime energetiche, non si è ancora vista. A causa soprattutto delle imprese produttrici e di trasformazione che non hanno adeguato i prezzi dei loro prodotti al calo delle materie prime. I costi variabili, infatti, si stima che siano calati dell’1,6%, rispetto al trimestre precedente, a fronte però di un margine operativo lordo che è aumentato di circa 1,8 punti percentuali, recuperando i livelli del 2021.
Siamo di fronte ad un fenomeno inflazionistico che non si registrava da quarant’anni.
Un fenomeno, per quanto riguarda i Paesi dell’eurozona, non necessariamente legato all’aumento della domanda di beni e servizi, di keynesiana memoria, ma è molto più probabile, per non dire certo, che ci si trovi di fronte ad un’inflazione più legata al fronte dell’offerta, ma di stampo speculativo: aumentano i costi di produzione, ma al momento di una riduzione degli stessi, i prezzi al consumo non vengono conseguentemente adeguati.
LE POLITICHE ANTINFLAZIONISTICHE
Le banche centrali, che in genere rivestono un ruolo fondamentale nel porre un freno ai fenomeni inflazionistici, hanno reagito in ritardo ed in modo non efficace, per non dire inadeguato, valutando anche in modo errato il fenomeno stesso, confinandolo tra quelli definibili “passeggeri”.
La risposta è stata quella classica del rialzo dei tassi di interesse, che se trova una parziale efficacia nell’inflazione della domanda, la stessa cosa non si può dire per l’inflazione dell’offerta.
L’ortodossa “regola del pollice”, ovvero applicare politiche monetarie restrittive all’aumento dei prezzi, provocando così una diminuzione della domanda, non funziona.
Alle politiche finanziarie delle banche centrali, occorre affiancare delle politiche di regolamentazione dal lato dell’offerta, che sono le grandi assenti nel panorama politico attuale.
In un sistema liberista regolamentato dal meccanismo della domanda e dell’offerta, i prezzi dovrebbero calmierarsi con il sistema della concorrenza.
Oggi le cose non stanno funzionando così. Pare esistere una sorta di “potere di monopolio” o di “cartello” che impedisce il funzionamento del meccanismo.
Occorre rivedere i principi cardini che stanno alla base dell’economia e di quel delicato equilibrio tra domanda ed offerta, e quindi di spartizione del relativo valore aggiunto generato.
I puristi dell’economia sono più sul fronte dell’inflazione della domanda, e ritengono il rialzo dei tassi di interesse una panacea alla riduzione del tasso dell’inflazione, accompagnata da politiche di contrazione della spesa pubblica.
Il solito gioco al massacro. Per non disturbare le manovre speculative dei soliti noti, diventate ormai da troppo tempo l’unico punto di riferimento del “nuovo capitalismo”, si scaricano gli oneri del sistema economico su risparmiatori e consumatori. Che sono sempre gli stessi.
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