“Dalla malattia (solitudine) alla terapia (fraternità)”, incontro con l’arcivescovo Castellucci a Medolla
MEDOLLA - Un’usuale accoglienza molto calorosa ha fatto da cornice alla Lectio tenuta lo scorso 20 marzo da Mons. Erio Castellucci, arcivescovo della Diocesi di Modena Nonantola e vescovo della Diocesi di Carpi, nell’incontro organizzato dal Circolo Medico “M. Merighi” nella chiesa parrocchiale di Medolla.
Nunzio Borelli, presidente ed animatore del Circolo Merighi, ha introdotto il tema della serata, svoltasi subito dopo la messa, animata dal coro con la guida di Emanuele Pacchioni, concelebrata dal vescovo e da don Emilio Bernardoni, col titolo “Dalla malattia (solitudine), alla terapia (fraternità)”. Un titolo che richiama come ogni malattia sia fonte di solitudine e isolamento da cui originano dinamiche di risentimento e delusione, non solo fisiche, ma anche mentali. Le medicine devono essere integrate ed olistiche, ossia produrre effetti globali, ristabilendo la salute non solo del corpo, ma anche dello spirito.
Per svolgere la sua trattazione, Don Erio si è rifatto alla parabola del buon samaritano, una delle più belle del Vangelo, traendo spunto dal comportamento dei personaggi che vi compaiono. Dunque, essa narra dell’aggressione compiuta dai briganti, lungo la via in discesa da Gerusalemme a Gerico, ai danni di un malcapitato viaggiatore solitario che viene lasciato, mezzo morto, ai margini della strada. Un sacerdote e un levita, di ritorno dal loro servizio al tempio, vedono il ferito e non si fermano. Per loro vige la regola di soccorrere il prossimo, ma passano oltre sull’altro ciglio della strada, colpiti da quella che oggigiorno chiameremmo la globalizzazione dell’indifferenza. Poi arriva il samaritano (un “nemico” per il giudeo ferito), non tenuto a soccorrerlo, che lo vede e ne ha compassione, lasciandolo entrare in sé con i suoi problemi. Nel significato originale, avere compassione indica una compartecipazione ben più profonda e pura di ogni altro sentimento.
E’ la manifestazione di un amore incondizionato che strutturalmente non può chiedere niente in cambio. Subito, il samaritano si affanna a prestare aiuto al ferito, versando sulle sue ferite olio e vino: il primo per pulirle e il secondo per disinfettarle. Poi lo traporta nel vicino albergo affidandolo all’oste e dicendosi pronto, al suo ritorno, a ripagare quest’ultimo di quanto speso oltre la somma lasciata per le cure immediate. Il samaritano ha avuto coraggio, tirando fuori le sue energie migliori e non ha abbandonato il ferito al suo destino, anzi lo ha aiutato con un gesto più che fraterno. Così noi, dice il Vescovo, dobbiamo “impicciarci” delle sofferenze altrui, piuttosto che girare il capo dall’altra parte e farci prendere dall’indifferenza. Chi ha il coraggio con la vicinanza e l’aiuto di intervenire in situazioni di sofferenza può effettivamente risolverle con la terapia della fraternità. Qualcuno tra i presenti domanda: come può l’uomo della strada essere un buon samaritano al giorno d’oggi, in un mondo in crisi su tutti i fronti? Il Vescovo risponde con una ricetta semplice: cominciamo con il diventare tutti noi diffusori delle buone notizie che sono tante, ma restano spesso ignote ai più. E con questa raccomandazione, la Lectio densa di concetti forti, ma offerta dal Vescovo con la consueta semplicità, si conclude.
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