L’autore di Finale Emilia Carlo Tassini si racconta
FINALE EMILIA – Carlo Felice Tassini è nato a Finale Emilia dove vive. Biologo, insegna Scienze Naturali in un liceo, ed è uscito di recente col suo nuovo libro. La redazione di SulPanaro lo ha incontrato e gli ha fatto qualche domanda sulla scrittura e sulle nuove fatiche letterarie, nate durante il lockdown.
- Come nasce la passione per la scrittura e il raccontare?
Da ragazzo mi fu prestata una vecchia lettera 22 della Olivetti con la quale avrei dovuto battere a macchina il testo di una ricerca scolastica. Ricordo che dopo aver terminato il lavoro per la scuola, vestendo per gioco i panni dello scrittore, scrissi di getto un breve racconto che molti anni più tardi feci leggere ad un’amica alla quale piacque a tal punto che decise di spedirlo, a mia insaputa, ad un concorso dove gli fu assegnata una menzione speciale. Per me fu una grande sorpresa, motivo per cui fui spinto a partecipare ad altri premi letterari per capire se si fosse trattato di un colpo di fortuna o se effettivamente avessi un po’ di talento.
Il primo libro che scrissi – da tempo ormai fuori catalogo – conteneva tutti racconti vincitori o segnalati in vari concorsi. Ricordo che il mio editore di allora trovò il modo di farmelo presentare alla fiera del libro di Torino, esperienza che ricordo come davvero emozionante.
Con il passare del tempo la passione per la scrittura non è mai scomparsa ma ha dovuto fare i conti con altre mie passioni e il poco tempo lasciato dal lavoro. Ciò nonostante, ciclicamente, sento il bisogno di trasferire su carta le tante storie che mi si affastellano nella mente. Penso sia un esercizio utile per mettere in ordine i molti pensieri orfani di organizzazione e dispersi in chissà quale meandro del sistema nervoso, una sorta di deframmentazione di quel disco fisso biologico che è il mio cervello.
- L’esperienza come insegnante ha formato in qualche modo la scrittura?
Qualche volta mi è capitato, al termine di una serata di presentazione di un libro, di essere avvicinato da alcuni lettori, a volte insegnanti di italiano, convinti che io fossi laureato in lettere e dunque a mia volta un docente di italiano. Ma il mio percorso di formazione culturale è passato attraverso una laurea in biologia e un dottorato di ricerca in entomologia applicata, ambienti di studio lontani dal mondo della scrittura creativa. Poi sono approdato all’insegnamento di materie scientifiche e ho quindi iniziato a confrontarmi con tematiche che mal si adattano a descrizioni letterarie. Certo è che un’insegnante, indipendentemente dalla materia di insegnamento, è per forza di cose costretto a leggere e scrivere molto e questo finisce per essere un allenamento che credo mi sia servito. Per lavoro ho scritto spesso relazioni tecniche e articoli scientifici, ho quindi imparato a fare uso di una tecnica di scrittura la cui caratteristica di fondo risiede nella semplicità sintattica, frasi brevi e termini e sinonimi specifici. Forse non è molto per definire uno stile di scrittura personale, ma è il mio modo di scrivere, almeno per ora. Più in generale direi che il mio approccio alla scrittura può essere ricondotto a due semplici precetti: scrivo cercando di seguire le regole grammaticali ed evitando i cliché.
Quindi, in sintesi, per tornare alla domanda iniziale, dirò che sì, credo che il lavoro d’insegnante abbia influenzato il mio modo di scrivere, anche se immagino che ulteriori influenze, assorbite in modo inconscio, siano venute dalla lettura di libri di grandi autori.
Legata allo stile di scrittura c’è poi l’esperienza di essere tradotto in un’altra lingua. A luglio di quest’anno ho letto la traduzione in spagnolo del mio libro Sono via con Jethro (Estoy lejos con Jetro) e, in questa occasione, ho avuto modo di verificare che nonostante la traduttrice che ha lavorato sul testo abbia tentato di rimanere il più possibile aderente al mio modo di scrivere, ha dovuto operare alcune scelte sintattiche (peraltro concordate con il sottoscritto) che seppure poco hanno contribuito a mutare l’impatto della narrazione. Ho sempre saputo che il ruolo del traduttore è molto importante, ma verificarlo in prima persona sul proprio lavoro mi ha fatto riflettere e ho finito con il chiedermi quanto questo meccanismo possa avere agito sui tanti romanzi tradotti che ho letto. Purtroppo, non credo che potrò mai rispondere a questa domanda e non mi resta che invidiare quei lettori che hanno competenze linguistiche tali da poter leggere i libri nelle lingue originali.
- Ci parla dell’ultima fatica letteraria?
Durante il lockdown ho avuto molto tempo per scrivere e mi è venuto naturale rinforzare una sorta di sdoppiamento che avevo già attivato nel 2019. Ho scritto e pubblicato due libri in formato tascabile ed ebook. Lo sdoppiamento a cui mi riferisco non è legato al fatto che ho lavorato su due storie in contemporanea, ma all’uso di uno pseudonimo nello scrivere una delle due, quella che si potrebbe definire del mistero. Poiché sono state pubblicate a poche settimane di distanza l’una dall’altra le mie ultime fatiche letterarie sono dunque due.
Lo pseudonimo che ho utilizzato è Charlie Taxin. La traduzione “maccheronica” del mio nome e cognome in inglese dovrebbe evidenziare fin da subito che non c’è da parte mia la volontà di mantenere un vero anonimato ma, piuttosto, la ricerca della possibilità di esprimermi attraverso una sorta di alter ego che mi consenta di scrivere racconti con una connotazione di genere, nel caso specifico il poliziesco.
Il libro in questione ha titolo “Quel bastardo del mio amico Alzhi”, ed è una storia che si sviluppa in un ipotetico paese della bassa modenese dal nome significativo di Malcantone.
In questo territorio opera il maresciallo Pietro Tibuia (cognome mutuato dalla torta degli ebrei tipicamente finalese conosciuta anche come sfogliata), un carabiniere che ha rinunciato alla carriera nell’Arma per amore della tranquillità, motivo per cui ha scelto di comandare una piccola caserma sita in provincia. Tuttavia, anche nel tranquillo lavoro di un carabiniere di paese può capitare di scoprire storie interessanti come quella raccontata da un anziano signore trovato in apparente stato confusionale dalla pattuglia delle otto. L’uomo parlerà di un misterioso e lungo viaggio, bellissimo e terribile al contempo. Qualcuno lo prenderà per pazzo. L’esperienza di vita e la saggezza del maresciallo Tibuia saranno le vere e sole chiavi di lettura dell’intera storia.
Il libro che ho pubblicato come Carlo Felice Tassini ha titolo “Lo spettacolo di Jack Talento” ed è, a differenza del precedente, una raccolta di monologhi e racconti brevi molto differenti tra loro e non classificabili in un genere preciso ed unico. Nonostante le storie possano sembrare opera di pura fantasia, magari strane e singolari, nello scriverle ho attinto a piene mani da accadimenti reali.
In questo libro racconto di un pianista che deve comunicare al suo vecchio pianoforte che hanno perso il lavoro, delle vicissitudini di un virtuoso della tromba, di una incredibile confessione fatta a un prete, della nascita di una vera principessa, di un uomo capace di ascoltare l’inascoltabile e di un pazzo dalla logica ferrea.
Sui siti internet dove il libro è in vendita (amazon in primis) è presentato sinteticamente nel seguente modo: “Monologhi e storie brevi dal retrogusto intenso e persistente.
Molta musica, molti colori, qualche gioia e qualche dolore”.
Dove trovare tutte le info: Carlo Felice Tassini – Official Website
LEGGI ANCHE:
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