Donne e Scienza. Ecco chi è Giovanna Zamboni, la professoressa controcorrente
Controcorrente perché, al contrario di molte ricercatrici, lei dopo diversi anni all'estero è tornata nella sua Emilia.
Dopo gli studi a Modena, ha trascorso una decina di anni in prestigiosi centri di ricerca all’estero (National Institutes of Health, Maryland, USA, e University of Oxford, Regno Unito). Rientrata in Italia da poco, ha appena ottenuto uno dei più prestigiosi finanziamenti Europei per un progetto quinquennale sull'Alzheimer. E’ riuscita a portare tale riconoscimento nel nostro paese dove sono solo 28 i finanziamenti, a fronte dei 72 per la Germania e dei 53 per la Francia.
Cosa ne pensa della definizione di "cervello in fuga"?
“Mi sembra poco utile e poco rappresentativa dell'esigenza di scambio culturale e crescita personale e professionale che molte persone - non solo ricercatori e scienziati- hanno quando decidono di trasferirsi all’estero. Non condivido l’accezione negativa di “fuga”. Personalmente, l’avere potuto vivere e lavorare all’estero è stato un arricchimento. Credo che si debba incoraggiare chi vuole andare all’estero. Il vero problema Italiano è che alle tante persone che decidono di trasferirsi all’estero non ne corrispondono altrettante che decidano di venire a vivere e lavorare in Italia. Non riusciamo ad attrarre scienziati, ricercatori o altre professionalità altamente specializzate dall’estero”.
E' soddisfatta, lavorativamente parlando, del periodo trascorso all'estero?
“Direi che il bilancio è positivo, specie nei primi anni trascorsi negli UK: lavorativamente è stata una esperienza di continua crescita".
E dal punto di vista personale come ha gestito i trasferimenti Italia-Estero e viceversa?
"Ci sono anche stati innumerevoli trasferimenti estero-estero.Di certo non ci siamo annoiati! Sono molto grata a mio marito, che riuscendo a non compromettere mai la propria carriera in un ambito totalmente diverso dal mio, alla fine mi ha sempre appoggiato e seguito. Non immagina quante discussioni e quante notti insonni a cercare di prendere la decisione più giusta".
E' vero che all'estero le donne hanno più possibilità di carriera?
“Non credo sia vero di per sé. Le difficoltà di progressione di carriera per le donne sono ben note anche all’estero. Credo che la differenza fondamentale sia che all’estero il problema viene affrontato concretamente e vengono messe in atto più strategie per cercare di risolverlo (mi riferisco agli UK dove ho vissuto più a lungo). Per esempio, l’Università di Oxford per ovviare alla poca rappresentanza femminile agli apici organizza veri e propri corsi di “women development” in cui vengono insegnate strategie di crescita sia personale che professionale alle donne assunte all’università stessa a qualsiasi livello amministrativo o accademico. Oppure offre piccoli finanziamenti alle donne che ritornano alla ricerca dopo un periodo di congedo preso per
maternità o per assistenza ad un familiare disabile. Inoltre, il lavoro part-time o flessibile è molto più comune ed accettato, anche per posizioni ai vertici”.
Cosa le manca dell'estero?
“Mi manca l’efficienza delle amministrazioni, la assenza del giudizio sociale (forse ne ero semplicemente esente in quanto straniera), il rispetto dei ruoli e delle gerarchie professionali; qui tutti hanno un'opinione ed hanno bisogno di essere “convinti” a fare il proprio lavoro.
A suo parere, quale elemento in particolare ha convinto l’European Research Council a inserire il suo progetto nella lista degli unici 3 progetti finanziati nell'ambito delle Neuroscienze?
“Studierò alcuni sintomi della malattia di Alzheimer che non sono stati molto studiati fino ad oggi perché non strettamente necessari ai fini della diagnosi, ma che quando presenti peggiorano significativamente la qualità di vita dei pazienti e dei loro familiari. Si tratta della non consapevolezza (anosognosia)- e dei deliri di persecuzione. Credo che la commissione ERC abbia
riconosciuto l’importanza di migliorare la qualità di vita dei pazienti e delle loro famiglie attraverso lo studio di questi sintomi non strettamente cognitivi e fino ad ora relativamente poco studiati”.
Che cosa consiglierebbe ai giovani che si stanno affacciando alla carriera di ricercatore?
“Cercate ambienti in cui riuscite ad imparare cose nuove, in cui vi sentiate valorizzati. Andate all’estero senza paura, e poi eventualmente ritornerete in Italia se vorrete. Cercate di “normalizzare” nell’immaginario vostro e di chi vi circonda il lavoro del ricercatore e scienziato: non dobbiamo essere eroi, non dobbiamo solo vivere di scienza e gloria, abbiamo famiglie da mantenere, abbiamo una vita personale extra lavorativa che se ricca e felice porterà benefici anche alla nostra ricerca”.
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