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18 Aprile 2025
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Allarme allergie: “Con la crisi climatica durano 45 giorni in più”

(Adnkronos) - Allarme allergie nell'era del riscaldamento globale. Bastano 10 giorni in più senza gelo d'inverno per allungare di oltre 1 mese e mezzo la stagione dei pollini: inizia 25 giorni prima in primavera e si allunga di altri 20 in autunno. Totale 45 giorni in più di occhi rossi, naso che cola, starnuti e infiammazione. Sintomi che si prospettano più duraturi e peggiori per gli oltre 10 milioni di italiani allergici e in particolare per bambini asmatici, che in Italia sono 1 su 5, e per gli anziani con problemi respiratori che sono quasi altrettanti (il 17% degli over 65). Tra questi senior più fragili si rischia addirittura un raddoppio della mortalità, fino a un +116%. Invitano a prepararsi gli esperti della Società italiana di allergologia e immunologia clinica (Siaaic), in occasione del congresso 'Libero respiro' in corso a Cetara, Salerno, e alla vigilia della 18esima Giornata nazionale del polline promossa dalla Società italiana di aerobiologia, medicina e ambiente (Siama), in calendario il 21 marzo.  Nel 2023 - spiegano gli allergologi Siaaic - in Italia si sono registrati 10 giorni senza gelo in più rispetto alla media del trentennio 1991-2020, un dato che colloca il 2023 al terzo posto tra gli anni con il minor numero medio di giorni di gelo dell'intera serie storica. A evidenziare il valore è l'indicatore 'Giorni con gelo' della banca dati Indicatori ambientali dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), che misura il numero dei giorni in cui la temperatura minima dell'aria scende sotto gli 0°C, un parametro chiaro per monitorare l'evoluzione del clima e i suoi effetti, soprattutto per la salute respiratoria. "Alla luce dell'aumento delle giornate senza gelo, che sottolinea l'impatto crescente del riscaldamento climatico, si registra un trend tutt'altro che rassicurante di stravolgimento del calendario dei pollini - afferma Vincenzo Patella, presidente della Siaaic e direttore dell'Uoc di Medicina interna dell'azienda sanitaria di Salerno - Meno giorni con temperature sottozero danno più tempo alle piante di crescere e rilasciare i pollini che provocano allergie. Non solo anticipando la pollinazione primaverile di 25 giorni, ma anche prolungando quella autunnale di quasi 3 settimane, con un aumento complessivo della durata della stagione dei pollini di oltre 1 mese e mezzo e un rilascio di carico pollinico sempre più abbondante".  "A causa del riscaldamento globale - prosegue lo specialista - la stagione critica per le allergie è dunque destinata a diventare sempre più lunga e massiccia, con il risultato che i sintomi sono peggiori e più duraturi per gli oltre 10 milioni di italiani che soffrono di allergie, costretti a protrarre le terapie nel tempo". Lo conferma anche un'analisi diffusa 2 settimane fa negli Usa dall'organizzazione Climate Central, che ha valutato l'andamento delle temperature in 198 città americane per vedere come è cambiata la durata della stagione senza gelo dal 1970 al 2024. L'indagine ha rilevato che 172 città hanno registrato una media di 20 giorni in meno senza gelo rispetto al 1970, contribuendo ad anticipare e allungare la stagione dei pollini, con conseguenze più gravi per milioni di statunitensi. "Il cambiamento climatico rende la stagione dei pollini non solo più lunga, ma anche più intensa a causa dell'inquinamento che intrappola il calore - illustra Patella - Livelli più elevati di CO2 nell'aria possono aumentare la produzione di pollini nelle piante, in particolare nelle graminacee e nell'ambrosia. A causa dei persistenti elevati tassi di inquinamento da anidride carbonica, secondo una ricerca americana del 2022, alla fine del secolo l'aumento della produzione di pollini potrebbe arrivare fino al 200%". Stagioni polliniche più lunghe e intense - avverte la Siaaic - possono avere gravi conseguenze per le persone più vulnerabili, soprattutto i bambini affetti da asma, ma soprattutto gli anziani con malattie respiratorie, in costante aumento. E' quanto emerge da uno studio pubblicato a metà gennaio su 'BMC Public Health', che ha analizzato il legame tra pollini e mortalità tra gli anziani correlata a problemi respiratori. Valutando oltre 127mila decessi registrati in Michigan tra gennaio 2006 e dicembre 2017, i ricercatori hanno esaminato 4 tipi di polline: di alberi decidui (cioè che perdono le foglie, come acero, betulla e pioppo), di sempreverdi, di graminacee e di ambrosia. "Utilizzando modelli informatici avanzati - riferisce Patella - gli autori hanno osservato come livelli elevati di polline, dopo 7 giorni di esposizione, fossero correlati a un aumento dei tassi di mortalità negli anziani con problemi respiratori preesistenti. I risultati della ricerca hanno mostrato infatti che alti livelli di polline di alberi decidui e graminacee si associano a un rischio dell'81% più alto di mortalità per tutte le cause respiratorie croniche, dopo 7 giorni di esposizione. Gli autori hanno inoltre rilevato che livelli elevati di polline di ambrosia sono collegati, dopo una settimana di esposizione, a un forte aumento, pari al 107%, della mortalità per Bpco (broncopneumopatia cronica ostruttiva) e del 116% per tutte le altre malattie respiratorie croniche. Non è stato osservato invece alcun collegamento tra i vari tipi di polline e la mortalità per cause respiratorie infettive".  "Questi dati - conclude il presidente Siaaic - suggeriscono che l'aumento delle temperature e l'allungamento della stagione dei pollini potrebbe avere un peso sempre maggiore per la mortalità respiratoria tra gli over 65". [email protected] (Web Info)
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