Evade dal carcere Andrea Cavallari, con la banda dello spray responsabile della strage di Corinaldo
BOMPORTO - Andrea Cavallari, il laureato evaso: ombre e domande sulla fuga del condannato per la strage di Corinaldo
È una storia dai contorni inquietanti quella di Andrea Cavallari, 26 anni, originario di Bomporto, uno dei protagonisti della tragica notte alla Lanterna Azzurra di Corinaldo, dove sei persone persero la vita l’8 dicembre 2018. Condannato in via definitiva a 11 anni e 10 mesi per la strage, Cavallari da giovedì scorso è ufficialmente un latitante.
Quel giorno, all’Università di Bologna, Cavallari aveva raggiunto un traguardo importante: la laurea in Giurisprudenza. Un evento apparentemente ordinario se non fosse per un dettaglio cruciale: il giovane era detenuto presso il carcere della Dozza e stava scontando una pena per uno dei casi giudiziari più gravi degli ultimi anni. Eppure, grazie a un permesso concesso dal magistrato di sorveglianza, gli è stato consentito di uscire per discutere la tesi, senza scorta della polizia penitenziaria, ma solo accompagnato da familiari.
Da quel momento, però, di lui si sono perse le tracce.
Cavallari faceva parte della cosiddetta "banda dello spray", un gruppo di giovani che nella notte dell’8 dicembre 2018, durante il concerto del trapper Sfera Ebbasta, utilizzò spray al peperoncino all’interno del locale per seminare il panico e derubare il pubblico. L’ondata di panico causò il crollo di una balaustra, provocando la morte di sei persone, tra cui cinque adolescenti.
Nel 2019, Cavallari fu arrestato dai carabinieri di Ancona insieme agli altri componenti della banda, con le pesanti accuse di omicidio preterintenzionale plurimo, rapina, furto e lesioni. La condanna arrivò al termine di un complesso iter processuale, culminato con pene severe per tutti gli imputati.
Le autorità hanno avviato le ricerche, ma il silenzio che circonda la scomparsa di Cavallari alimenta interrogativi sempre più pressanti. La fuga, orchestrata proprio nel giorno in cui doveva festeggiare un simbolo di redenzione – la laurea – appare ora come un beffardo atto di sfida alla giustizia.
Il caso riapre un dibattito delicato: quello sull’equilibrio tra diritto alla rieducazione e necessità di garantire la sicurezza pubblica. E lascia sul tavolo una domanda scomoda: qualcuno sapeva che sarebbe scappato?
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