Fenomeno “Squid Game” e rischio emulazione, gli psicologi: “Parlatene con i vostri figli”
MODENA- Bambini che emulano giochi violenti e genitori preoccupati. Anche in Emilia-Romagna dilaga il “fenomeno Squid-Game”, legato alla serie tv coreana vietata ai minori di 14 anni che sta facendo parlare di sé per le imitazioni di alcune scene da parte dei più piccoli.
“Diversi psicologi scolastici del territorio, soprattutto delle scuole primarie, stanno ricevendo richieste di aiuto da parte di madri e padri per capire come approcciarsi alla questione”- spiega Francesca Cavallini, coordinatrice del Gruppo di Lavoro di Psicologia Scolastica dell'Ordine degli Psicologi dell'Emilia-Romagna.
Come comportarsi, quindi, con bambini o ragazzini che parlano della serie o si trovano a giocare a “Un, due, tre stella” in versione violenta?
“L'importante è parlarne con i propri figli – spiega Cavallini - Intavolare una discussione sul tema. Chiedere qual è il loro pensiero e spiegare quali sono i rischi del vedere scene brutali. Si può dire, per esempio, che guardare le scene violente potrebbe fare paura, rendere più ansiosi e causare difficoltà ad addormentarsi. Alcuni spezzoni della serie si possono anche guardare insieme, per poi fermarsi prima delle scene violente spiegando il perché e non facendo immaginare che si perderanno qualcosa di importante”.
Parlare, dunque. Perché più si parla di un tema, spiega la psicologa, meno lo stesso tema diventa morbosamente curioso. Anticipare la curiosità e affrontarla evita che il bambino possa soddisfarla da solo. Ma non sempre i figli parlano con i genitori ed è per questo che rimane fondamentale anche il ruolo della scuola e delle comunità educanti. “In ogni contesto sportivo, ricreativo, scolastico è importante che le figure di riferimento offrano occasioni di dialogo e confronto su temi di attualità come questo”- suggerisce Cavallini.
E cosa succede se un bambino vede la serie senza censure? "Il rischio peggiore è che replichi alcuni gesti – continua Cavallini - Altri rischi sono incubi notturni e un'assuefazione alla violenza che potrebbe portare nel tempo all'incapacità di capire qual è un contenuto violento e uno non violento e alla difficoltà di costruirsi una morale". Oltre al rischio di cercare contenuti sempre più violenti, spiega la psicologa, ricerca che potrebbe essere facilitata dagli algoritmi dei motori di ricerca e dei social network.
"La letteratura ci suggerisce di avere un ruolo di mediazione di ciò che il figlio o la figlia fa online fino ai dieci anni, tentando di indirizzare verso contenuti adatti all'età – continua Cavallini - Non esiste solo Squid Game: di fronte a contenuti “vietati” è importante non censurare, ma appunto intavolare una discussione. I genitori hanno il compito di accompagnare per mano i bambini non solo a scuola, ma anche nel mondo cibernetico".
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