Mister Daniele Denti: “Calcio violento, troppe aspettative e genitori invadenti: ma ricordate di guardare i vostri piccoli giocatori negli occhi”
Lettera aperta di un Mister
Per molti anni ho pensato che avrei cambiato il calcio, in realtà ho dovuto smettere prima che lui cambiasse me.
Sono passati tantissimi anni da quando, da ragazzino, vivevo il calcio come una passione folle, il pallone sempre tra i piedi, in casa, in cortile, al campetto per poi passare al calcio giocato, tra stagioni speciali e altre più complicate ma con un solo unico comune denominatore, l’amore per questo sport.
A suo tempo il calcio era molto meno mediatico, le partite contavano e si ascoltavano alla radiolina tutte alle ore 15.00, con i genitori con la schedina in mano. I goal si potevano vedere solo alle ore 18.10 su 90esimo minuto e i calciatori erano i nostri miti, così come lo erano i ragazzi più grandi che militavano in paese nelle categorie superiori.
Una passione senza limiti, senza alcuna negatività, vissuta appieno con gli occhi di un adolescente.
Crescendo ho avuto il privilegio di potermi misurare nel ruolo di Mister per i settori giovanili, dai pulcini agli esordienti, passando poi dalla juniores, tornando agli allievi e infine ai giovanissimi.
Passare le giornate con i ragazzi e provare a trasmettere loro questa passione è sicuramente impagabile. Se poi un Mister riesce ad andare oltre al gioco del calcio, cosa che ho sempre provato a fare, si possono vivere emozioni inimmaginabili, rapporti profondi e infiniti.
Ricordo ogni annata, ogni singolo ragazzo, ogni nome, ogni particolarità, ogni carattere. In questi anni ho vissuto tutte le emozioni possibili.
Sono passato da allenare bambini piccoli, affascinati dalle margherite nei prati mentre gli avversari attaccavano, che ad ogni tocco di pallone salutavano i genitori fino ad allenare uomini, perché gli juniores sono uomini, con tutte le difficoltà del caso ma con alcune relazioni davvero speciali.
Le annate che però ho preferito sono quelle diciamo “di mezzo” , dove si inizia a insegnare il vero gioco del calcio e ci si confronta con ragazzi che stanno iniziando un percorso di maturazione importante, ragazzi che iniziano ad avere delle certezze ma anche che iniziano a scontrarsi con le prime delusioni che poi la vita seminerà qua e là nel loro cammino.
Ricordo gli spogliatoi, l’ansia del pre partita, i riscaldamenti, la preparazione sotto un agosto cocente, gli allenamenti con ogni condizione meteo, ricordo le continue domande con la pioggia “Mister ma si fa allenamento?”
Ricordo le delusioni per le sconfitte immeritate, quelle per non aver espresso quanto preparato tutta la settimana ma anche tutti i momenti appaganti, le vittorie, i recuperi all’ultimo minuto, le esultanze sotto la tribuna, gli abbracci.
Ricordo tutte le volte che ho pianto, perché un Mister piange, lo fa per felicità, lo fa per commozione, lo fa per solitudine, a volte purtroppo anche per rabbia. Però tutte queste emozioni erano esattamente quello che alimenta la voglia di un Mister di continuare, di passare tre giorni a settimana più il weekend con i ragazzi, di vivere assieme a loro qualsivoglia stato d’animo perché positivo o negativo che fosse, era assieme a loro e quindi speciale.
Ma allora perché smettere? Perché scappare da questa meraviglioso sport nel settore giovanile?
Perché purtroppo le condizioni esterne lo stanno distruggendo, passando dai genitori, dalle società e dai loro Mister, dai falsi miti del calcio professionistico.
E queste condizioni esterne stavano trascinando anche il sottoscritto ed è per questo che ho deciso di smettere per sempre.
Dove stiamo sbagliando? Su tutto.
Abbiamo portato il risultato all’esasperazione, quello decide se alla fine della partita i ragazzi sono soddisfatti o meno, se si sono divertiti oppure no.
E qui si apre il mondo delle convocazioni, della meritocrazia, nelle rosee disomogenee, dei minutaggi, un inferno totale che come gestisci sbagli. Sarai criticato se fai giocare tutti senza risultati, lo sarai comunque se vincerai ma sempre con gli stessi, causando a volte persino l’abbandono del ragazzo che non ha più incentivi e perde la passione per il calcio.
Altro punto critico, il calcio professionistico come stile di vita. Ragazzini convinti di essere dei fenomeni, che si atteggiano come fenomeni, che vogliono il procuratore, che scimmiottano i giocatori di serie A in tutto e per tutto, Ragazzini che non sanno accettare le sconfitte, che non sanno rispettare i compagni, gli avversari, lo staff e le strutture.
Poi ci sono i genitori.
Quando ero giovane io il Mister faceva il Mister, i genitori facevano i genitori, la Società faceva la società.
Non c’erano gruppi whatsapp dei genitori (non c’erano neppure i cellulari) ma si riusciva ad organizzare tutto, comunque, anche meglio probabilmente.
Il problema è diventato serio, molti genitori non hanno chiaro il loro ruolo. Troppo presenti, troppo assillanti, spesso causa delle difficoltà dei propri figli perché sotto pressione e schiacciati dalle loro aspettative, dal loro giudizio. Non capiscono quanto sia determinante accompagnare i propri figli con equilibrio, senza esaltarli ma tantomeno deprimerli, e insegnare loro l’accettazione delle sconfitte, il rispetto, la gioia di giocare a calcio.
Ultimo aspetto ma non meno importante, la violenza.
Il calcio, soprattutto dilettantistico è diventato un calcio violento. I fatti di cronaca sono quotidiani, si leggono di risse violente, arbitri che devono fuggire dai calciatori, risse in tribuna tra tifosi e genitori, inseguimenti fuori dallo stadio.
Non è possibile vivere tutto questo con serenità. E se viene a mancare la serenità, viene a mancare tutto.
E a me è venuta a mancare la serenità, la gioia di vivere questo gioco, le emozioni positive sono state oscurate da quelle negative, ed è colpa nostra, ed è anche colpa mia, non certo dei ragazzi.
Siamo noi adulti, con i nostri esempi, con i nostri comportamenti, a influenzare questo mondo, i ragazzi sono ragazzi come lo ero io. I ragazzi iniziano tutti con la voglia di giocare a calcio, con la passione nel cuore, con la purezza nell’animo, ora come allora.
Poi però come detto, i fattori esterni giorno dopo giorno li modellano, li plagiano, li cambiano, spesso purtroppo negativamente.
E stavano per cambiare anche me, ed è per questo che mi sono ritirato.
Avrei mille consigli da dare agli addetti ai lavori, ai genitori, alle società, ma sono convinto di non poterlo fare, non sono mai stato infallibile e senza colpe o un esempio totale.
Solo un consiglio voglio dare ai Mister, a quelli che iniziano la carriera ma anche a quelli che lo fanno da anni e danno un poco tutto per scontato.
Prima di ogni allenamento, qualunque annata stiate gestendo, mettete in cerchio i vostri ragazzi, salutateli, chiedete loro come stanno. Diranno tutti che stanno bene, ma guardate loro negli occhi, quelli non mentono mai. Cercate di capire quali chiedono aiuto e approfondite, cercate di acquisire la loro fiducia, andate oltre il calcio giocato.
E cosi facendo, come dico sempre io, a fine stagione, avrete lasciato qualcosa in loro, nei piedi, nella testa ma soprattutto nel cuore.
Ringrazio tutti i ragazzi che ho allenato e tutte le società che mi hanno accolto. E speriamo che il calcio torni ad essere gioia,Daniele Denti
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