Grano, effetti disastrosi della guerra in Ucraina. Da Mirandola il mugnaio Luigi Capucci: “Il settore è in ginocchio”
MORTIZZUOLO, MIRANDOLA - "Ci mancava solo la guerra in Ucraina. Stavamo giusto uscendo dalla pandemia, quando questa nuova calamità si è abbattuta sul comparto produttivo e, più generalmente, sulle nostre vite": non utilizza mezzi termini Luigi Capucci, titolare dell'omonimo mulino mirandolese (QUI la sua storia), per descrivere il complesso frangente che sta travolgendo il settore della produzione cerealicola.
Difatti, come denunciato da Coldiretti (QUI il report), il conflitto nell'Est Europa sta comportando un impatto fortissimo sull'esportazione di grano e affini, con una conseguente impennata dei prezzi, capace di mettere in gravissima difficoltà consumatori e piccoli produttori. L'associazione stima che il 29% dei cereali mondiali siano coltivati proprio dai due paesi in guerra, e che l'attuale blocco delle esportazioni nel Mar Nero genererà nel corso delle prossime settimane un deficit gravissimo. La situazione appare tanto più complicata nel nostro Paese, dove il 64% del grano è importato. Il rincaro dei farinacei appare dunque salato e inevitabile.
"Qui, maciniamo grano a chilometro zero, ma il problema di fondo resta:", spiega Capucci, "il costo dei cerali è cresciuto esponenzialmente, per non parlare dell'energia con la quale alimentiamo i macchinari, il cui prezzo è quasi triplicato. Il margine di guadagno di noi mugnai si avvicina quasi allo zero, siamo fra i settori più penalizzati. Almeno, l'agricoltura è tutelata da associazioni di categoria forti, mentre gli artigiani sono allo sbaraglio. Il sindacato fa quello che può, ma servirebbe una strategia nazionale. Francamente, mi piange il cuore quando osservo ettari ed ettari di produzione cerealicola impiegati per le biomasse: con tutto il bisogno che c'è per l'alimentazione umana ed animale, mi pare una follia abbandonare queste derrate alla combustione".
I rincari stanno dunque avendo un peso notevole sui portafogli degli italiani, ma gli analisti mettono in guardia anche su eventuali ricadute geopolitiche. Si stima infatti che nei paesi in via di sviluppo, dove i farinacei sono alla base di un'alimentazione ancora deficitaria, potrebbero insorgere forti tensioni sociali, simili a quelle che hanno condotte alle Primavere Arabe nel 2011, quando le rivolte furono innescate proprio dall'aumento del prezzo del pane.
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